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La notte più lunga di Renato Accorinti

La notte più lunga di Renato Accorinti

Il verdetto arriva a notte fonda, in un'aula consiliare strapiena come mai s'era visto prima, dopo attimi di altissima tensione nonostante i giochi fossero abbondantemente fatti: Renato Accorinti resta sindaco, esce da Palazzo Zanca con un enorme sorriso stampato in faccia e le spalle larghe di chi ha capito di aver superato una bufera potenzialmente letale, e ora può navigare su un mare piatto verso lidi sicuri. Come sarebbe andata a finire la telenovela della sfiducia lo si è capito con una buona dose di certezza nel primo pomeriggio. Quando a Palazzo Zanca sono arrivati i genovesiani e quando è andata delineandosi la spaccatura tutta interna al Pd. Troppe tessere del mosaico sono venute meno in poche ore, nonostante in mattinata ci fosse stato il ribaltone di Elvira Amata, passata in un amen dal più che probabile no ad un fermo sì, pare per una precisa indicazione giunta dalla leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni. Ma non è bastato, non poteva bastare. Tre sì in meno dal Pd (Cardile, Gennaro e Iannello), che hanno clamorosamente isolato la capogruppo Antonella Russo al termine di un pomeriggio ad alta tensione in casa Dem; tre sì in meno dall'area Forza Italia, dove alla fine quello che da ieri può essere chiamato come “gruppo Vaccarino” (lo stesso Benedetto Vaccarino, Riccardo Pagano e Carmelina David) si è astenuto, mentre l'unico sì tra gli indecisi, alla fine, è quello di Simona Contestabile. Aggiungiamoci l'assenza, ufficialmente per motivi di salute, di Rita La Paglia, e l'astensione “da presidente” di Emilia Barrile (ma c'è chi giura che se fosse stato determinante, il suo voto sarebbe stato un Sì) ed ecco che la mozione di sfiducia ha finito per sciogliersi come neve al sole. Ogni calcolo è stato rivisto al ribasso: altro che i 27 voti necessari perché la sfiducia passasse, non si è riusciti a superare quota 23, col rischio concreto, ad un certo punto della maratona consiliare, di andare anche più giù. Le previsioni della vigilia sono state in gran parte rispettate, fatta eccezione, appunto, per la Amata. L'ago della bilancia era rappresentato dagli incerti, e quindi dai genovesiani e dal Pd. In entrambi i casi, le riunioni dell'ultima sono state caratterizzate anche da toni accesi, ma non sono state sufficienti a cambiare le carte in tavola. Ammesso che ci fosse la piena volontà di tutti a cambiarle realmente. Da Vaccarino arrivano anche precise frecciate su presunti accordi già presi altrove sul prossimo candidato a sindaco (nemmeno tanto velato il riferimento all'assessore regionale Carlo Vermiglio). E il Pd? Forse è qui che si consuma la spaccatura più “sanguinosa”. La Russo resta da sola, a sostenere in aula quella che era stata annunciata come linea di partito, concordata col commissario Ernesto Carbone. Lapidario Cardile: «Ci era stato chiesto il sì perché non si poteva lasciare che a gestire i fondi del Masterplan fosse questa Amministrazione». Compatti ex Udc e Ncd, così come gli altri firmatari della sfiducia. La mano tesa di Santalco («il sindaco confermi per iscritto la volontà di un patto di fine mandato») è stata accolta a metà da Accorinti («nessun inciucio, ma massima apertura sì»). Sono quasi le due di mattino, poi, quando si scatena il putiferio: interviene Donatella Sindoni, il pubblico (tutto pro Accorinti) sugli “spalti” si volta di spalle, Trischitta invoca l'intervento dei vigili urbani, la Barrile chiede che vengano cacciati tutti e va via dall'aula furibonda: «Io così non vado avanti». Tutto rientra (in un clima di improvviso gelo) dopo l'intervento della Digos. E la sostanza non cambia: la fascia tricolore resta addosso ad Accorinti. Inizia l'ultimo anno di mandato. In uno scenario politico tutto da decifrare.

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