I carabinieri hanno fermato una donna di 47 anni, Fortunata Caminiti, con l'accusa di omicidio, sequestro di persona e occultamento di cadavere. Secondo gli investigatori avrebbe ucciso Roberto Scipilliti, 56 anni il vigile del fuoco, prima scomparso e poi trovato morto a Savoca (Me) qualche giorno fa. I militari dell'Arma attraverso le immagini di alcune telecamere hanno rintracciato una Panda gialla presente sul luogo dell'omicidio e sono riusciti a risalire poi alla targa e alla ditta di noleggio del catanese dove era stata affittata. I titolari della ditta hanno detto di aver trovato del sangue a bordo e che l'auto era stata affittata a Caminiti che aveva nella circostanza presentato documenti falsi.
L'auto era stata restituita con un giorno di ritardo e la donna si era giustificata dicendo che a bordo della vettura vi era stata una lite violenta e che alcuni suoi amici erano ricoverati in ospedale. I militari sono risaliti alla donna che era stata arrestata insieme al marito latitante Fabrizio Ceccio, 44 anni, qualche giorno fa all'imbarco dei traghetti a Messina. Ceccio era ricercato da aprile dell'anno scorso per associazione per delinquere finalizzata alle truffe, al riciclaggio ed alla ricettazione. I due avevano documenti falsi e nell'auto sono state trovate una Beretta calibro 22 e una Sig Sauer calibro 9, alcuni telefoni cellulari, e 60 proiettili
Il comunicato dei carabinieri:
Una clamorosa svolta nelle indagini condotte dai Carabinieri di Messina a seguito dell’omicidio di SCIPILLITI Roberto.
Nel pomeriggio di oggi, infatti, i Carabinieri del Comando Provinciale di Messina hanno eseguito un decreto di fermo di indiziato di delitto, emesso dalla locale Procura della Repubblica, nei confronti della 47/enne CAMINITI Fortunata, ritenuta responsabile di “omicidio, sequestro di persona e occultamento di cadavere”.
Il provvedimento restrittivo scaturisce dagli esiti di una complessa attività di indagine, sviluppata dal Nucleo Operativo della Compagnia Carabinieri Messina Sud a seguito dell’omicidio del 56enne SCIPILLITI Roberto, Vigile del Fuoco, come si ricorderà scomparso il 5 gennaio u.s. in Santa Teresa di Riva (ME) e rinvenuto cadavere il successivo 14 gennaio nelle campagne di Savoca (ME).
Di SCIPILLITI Roberto si erano perse le tracce dal primo pomeriggio del 5 gennaio scorso allorquando usciva dalla propria abitazione di Roccalumera e si allontanava a bordo del suo fuoristrada, da solo, senza fare più ritorno. La sua auto, regolarmente chiusa a chiave, veniva ritrovata a S. Teresa di Riva il giorno stesso con a bordo un borsone con delle divise dei vigili del Fuoco, una busta con dei ricambi e delle medicine custodite nel cruscotto.
Immediatamente i Carabinieri attivavano il servizio di localizzazione dell’utenza in uso allo SCIPILLITI riscontrando come il telefono risultava posizionarsi nel comune di SAVOCA, elemento importantissimo che consentiva – a ragione, come poi dimostreranno i fatti - di concentrare le ricerche delle unità cinofile specializzate proprio in quella zona. Inoltre veniva acquisito anche il traffico telefonico della sua utenza di telefonia mobile da cui emergevano subito particolari che si rivelavano fondamentali per le indagini.
Infatti, il cadavere veniva rinvenuto nel primo pomeriggio del 14 proprio in Savoca (ME), località Rina Superiore, in fondo ad un fosso adiacente alla sede stradale della SP 21, nascosto tra la vegetazione e parzialmente coperto da un sacco di plastica nero, analogo a quelli utilizzati per la raccolta dei rifiuti. Gli elementi raccolti nell’immediatezza non consentivano di evidenziare in maniera chiara le cause del decesso, portando tuttavia a ritenere con buona probabilità che fosse conseguenza di un’azione violenta di terzi, sia per le modalità di occultamento del corpo che per una sospetta ferita alla testa, causata probabilmente da un colpo sferrato con un corpo contundente, che per la presenza di una strana lesione alla base del naso, che pur potendo essere il foro d’uscita di un proiettile - di cui non si riusciva però ad individuare il foro d’entrata – non ne aveva le tipiche caratteristiche. Inoltre nella tasca della giacca di SCIPILLITI veniva trovato il suo telefono cellulare, sporco di sangue e con lo schermo danneggiato.
La successiva autopsia sul corpo di SCIPILITI confermava i sospetti : la morte era stata determinata, infatti, da un colpo di pistola calibro 9, esploso a distanza ravvicinata dall’alto verso il basso. Le ricerche effettuate sul luogo del rinvenimento del cadavere anche con l’ausilio di personale del RIS non consentivano però di rinvenire sulla scena del crimine né il bossolo e né l’ogiva del colpo che aveva perforato da parte a parte il cranio di SCIPILLITI.
Dopo la scoperta del cadavere di SCIPILLITI, i Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Messina Sud verificavano, anzitutto, la presenza di eventuali telecamere lungo le varie strade che conducono al luogo del ritrovamento.
L’attenzione degli investigatori, veniva subito attirata una Fiat Panda gialla di cui non si riusciva a leggere la targa, ma che transitava alle 15.28 in direzione mare/monte, verso il luogo del rinvenimento del cadavere con a bordo più persone non distinguibili. Alle successive 15.35 – dunque solo dopo 7 minuti - il mezzo veniva registrato mentre tornava in senso opposto dal luogo di rinvenimento del cadavere.
Il dato significativo, è che in quella fascia oraria - corrispondente a quella in cui anche la presenza dello SCIPILLITI era stata rilevata a Santa Teresa - verso il luogo ove era stato rinvenuto il corpo di SCIPILLITI transitava soltanto quella Panda gialla.
Dalla telecamera si riuscivano ad apprezzare particolari importanti come una leggera ammaccatura al lato sinistro della targa posteriore
Essendo evidente il collegamento tra l’utilitaria e l’omicidio, i Carabinieri iniziavano una certosina e attenta analisi di centinaia di telecamere di videosorveglianza presenti sull’intero litorale jonico, attività che consentiva di ricostruire la targa della vettura ricercata e ritrovarla all’alba del 20 gennaio.
Si trattava di un mezzo intestato a una ditta di noleggio del catanese, che il 4 gennaio (il giorno precedente la scomparsa dello SCIPILLITI) era stata affittata proprio alla CAMINITI che nella circostanza aveva presentato documenti falsi.
L’auto era stata restituita con un giorno di ritardo, tanto che la donna si era dovuta giustificare dicendo che a bordo della vettura vi era stata una lite violenta tanto che alcuni suoi amici erano ricoverati in ospedale. Precisava anche che l’auto si era sporcata di sangue ed aveva provveduto a pulirla con l’alcol.
Peraltro nei giorni successivi un altro soggetto, mentre stava pulendo il mezzo per conto della ditta di noleggio, notava che nel vano porta oggetti posto sotto il sedile del passeggero anteriore , vi era una pozza di sangue sulla quale galleggiava una penna, tanto che l’uomo scattava una foto commentando come “…….dentro l’auto c’era stata una guerra……….”.
A questo punto era evidente come su quel veicolo fosse stato consumato un efferato delitto, ovvero l’omicidio dello SCIPILLITI, giustiziato mentre si trovava seduto sul mezzo.
Gli elementi acquisiti dai Carabinieri costituivano indizi di colpevolezza così gravi nei confronti della donna, quale esecutrice dell’omicidio, da determinare l’immediata emanazione da parte della Procura della Repubblica di Messina del provvedimento di fermo, anche in considerazione dell’accertata capacità della donna ad utilizzare altre identità e documenti falsi, attitudine che rende concreto il pericolo di fuga. Si tratta, infatti, di colei che nelle prime ore del 14 gennaio 2017, per mano dei Carabinieri della Compagnia di Messina Sud, era stata arrestata insieme al latitante Fabrizio CECCIO, pluripregiudicato messinese classe 1972, attivamente ricercato da aprile dell’anno scorso, allorquando si era reso irreperibile poiché colpito da ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di “associazione per delinquere finalizzata alle truffe, al riciclaggio ed alla ricettazione”. In tale occasione i due provenivano insieme da una località del nord Italia ma il loro viaggio si era concluso a bordo di una nave “Caronte”, ad un passo della costa messinese. Nella circostanza i due erano entrambi in possesso di documenti falsi ed armati di pistola con matricola abrasa, carica e con colpo in canna, ovvero una Beretta calibro 22 ed una Sig Sauer calibro 9, con 60 colpi circa di riserva.
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