Era un predestinato, Francantonio Genovese. Sapeva da bambino di dover seguire la strada tracciata dal padre Luigi e soprattutto dallo zio, Nino Gullotti, l’uomo che per decenni incarnò vizi e virtù della Democrazia cristiana siciliana. E quel percorso lui lo ha cominciato a seguire bruciando le tappe, dalla brevissima parentesi di assessore nella giunta provinciale guidata da Peppino Buzzanca alla nascita del Partito popolare e della Margherita, i contenitori che anticipavano l’Ulivo di Prodi e poi il nuovo Partito democratico. Francantonio aveva scelto di stare dalla parte del Centrosinistra e la sua forza elettorale ben presto lo ha reso leader incontrastato, e riverito, di quella coalizione che riuniva gli ex Dc, i vecchi comunisti, spezzoni del Partito socialista, perfino gli ambientalisti. Genovese è stato il primo vero sindaco di una coalizione politica di Centrosinistra e nella sua Giunta c’era perfino il segretario provinciale di Rifondazione comunista. È stato il candidato più votato alle Primarie, l’uomo che, con le sue ingenti risorse e le schiere sempre più folte di “fedelissimi”, ha sostenuto le campagne elettorali di Prodi, Veltroni e Bersani. Detronizzato da sindaco, ha perso la sfida per la rielezione ma in fondo gli è andata bene, perché lui a Palazzo Zanca non voleva più starci. Volava alto, in Parlamento, e se avesse vinto Veltroni le elezioni, anziché Berlusconi, sarebbe stato anche ministro, come lo zio Nino.
E invece, poi, la strada in ascesa si è interrotta. E a poco a poco, poi sempre più rapidamente, è cominciata la sua discesa. Leader lo è ancora, difeso a spada tratta dai suoi, pur se passato ormai sull’altro fronte, a braccetto con Gianfranco Miccichè, nel partito dei “perseguitati dalla giustizia” (Forza Italia, ovviamente), ma il sistema da lui creato, stando almeno alle accuse che hanno portato alla pesantissima condanna di ieri sera, è stato svelato ed è venuto giù come un castello costruito sulla sabbia. Genovese probabilmente ha preteso troppo, non comprendendo che i tempi non erano e non sono più quelli della Dc di Gullotti e di Astone. La battaglia giudiziaria non è finita, ci mancherebbe. Ma un capitolo della vicenda politica messinese, siciliana e nazionale, ieri è stato riscritto dai giudici di un Tribunale. E la sentenza è di quelle che fanno Storia.