La pignolata “messinese”, simbolo della tradizione pasticcera peloritana, è tra le specialità dolciarie che sono state “adottate” da alcune pasticcerie romane, inserite tra le specialità offerte in occasione della “Befana” della capitale, così come evidenziato dalla puntata speciale dedicata all’Epifania della rubrica culinaria di Rainews24 “Mordi e fuggi”. Tra i dolci della festa, molto sentita nella capitale, la trasmissione della Rai ha fatto riferimento anche alla pignolata, presente in grande evidenza tra le vetrine di un locale del centralissimo largo Argentina.
Tipico dolce glassato messinese riconducibile alla serie dei specialità dolciarie di “carattere profano” indicati dal noto studioso di antropologia Antonio Uccello, la pignolata è in realtà legata storicamente al tempo di carnevale, diffusosi soprattutto tra Otto e Novecento, grazie alla “Premiata fabbrica di dolci Antonino Carbonaro”, che produceva pignolate di 2-4 kg., che rappresentavano una delle eccellenze gastronomiche cittadine premiate in rassegne nazionali e internazionali.
Lo stesso Uccello rilevava che venisse preparata con farina, uova e alcool, che funge da lievito, l’impasto viene fritto e, una volta raffreddato, le varie parti s’impastano con una speciale crema detta “marangola”, ottenuta con zucchero, bianco d’uova e succo di limone fresco, oppure con cioccolato fuso al fuoco, ornata con coriandoli, nastri e stelle filanti.
Alcuni studiosi fanno riferimento alla nascita di questo dolce alla dominazione spagnola, quando le famiglie nobili messinesi chiesero ai pasticceri locali di rielaborare l’antica ricetta del dolce che le monache di un convento offrivano al popolo durante il carnevale (mucchietti di pinoli fritti amalgamati con il miele, poi si aggiunsero dei pezzetti di biscotto all’uovo).
Sembra infatti che i pasticcieri messinesi vollero aggiungere la glassa agli gnochetti dolci col miele per accontentare i nobili spagnoli stanziati in città. (www.thinkdonna.it). Con il passare del tempo i pinoli sono stati completamente sostituiti dai biscotti all’uovo. In realtà, come osserva Coria, il nome di questa specialità, diffusa anche a Modica e dintorni, deriverebbe dalla forma piramidale che richiama la pigna, e sarebbe una derivazione messinese (dove i dadetti non erano fritti ma cotti a teglia unta), degli struffoli napoletani, le palline fritte, irrorate di miele e guarnite di frutta candita e confetti multicolori, aromatizzati con liquore di anice e limoncello, che divennero dolci natalizi grazie alle monache che li donavano ai nobili che si erano distinti per atti di carità, la cui origine è greca o della Magna Grecia: il nome struffoli deriverebbe dal greco strongoulos o stroggulos, cioè di forma tondeggiante.
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La curiosità
Il nome deriverebbe, secondo la vulgata, dai mucchietti di pinoli fritti e amalgamati col miele dalla forma tipica di una pigna. A tale proposito, il Dizionario Vinci del 1759, ristampato da Di Nicolò per cura della Comunità Ellenica dello Stretto, alla voce pignuolata indica “bellarium in nucis, pinea formam”, un riferimento prezioso che indicherebbe sia la diffusione del dolce nel XVIII secolo che l’originale forma a pigna; per la studiosa di gastronomia siciliana Elmo, questo particolare dolce bicolore, sarebbe stato creato dalle suore della Carità, e ricorderebbe i mitici fonatori della città peloritana Mata e Grifone (il colore scuro di Grifone e la candidezza di Mata).