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L’incubo Gettonopoli
paralizza il Consiglio

Palazzo Zanca

C’è chi vorrebbe urlare contro la “giustizia a orologeria” ma si trattiene dal farlo su ordine del proprio avvocato. Chi vorrebbe consegnare le chiavi del Municipio in Tribunale, «vengano loro a governare!». Chi dice di aver perso qualunque passione per l’attività politica. Chi parla di ingiustizia e prende le distanze da quei colleghi che, “sì, forse, ne hanno approfittato”. Chi si trincera dietro il diplomatico, e scontato in queste occasioni, «non ho ricevuto alcun atto, quando mi sarà notificato l’avviso di garanzia, vedremo...». Qualcuno è visibilmente scosso, non nasconde il proprio nervosismo, fino a spintonare una giornalista che fa solo il suo mestiere, quello di raccogliere reazioni al “caso del giorno”.

Palazzo Zanca sotto Natale, ovvero gli “ultimi giorni di Pompei”. Il clima che si respira è proprio quello, pioggia di cenere dal vulcano che esplode. Il coinvolgimento in Gettonopoli di tutti o quasi i consiglieri comunali (eccezion fatta per i tre “archiviati” Maria Perrone, Daniela Faranda, Carlo Cantali e ovviamente per coloro che sono subentrati dopo il periodo oggetto dell’inchiesta, e dunque Gaetano Gennaro, Cecilia Caccamo, Maurizio Rella) ha fatto ripiombare il Comune sotto una coltre plumbea di rabbia repressa e di amara rassegnazione.

Il capogruppo di Forza Italia Giuseppe Trischitta, a suo modo, lo aveva “profetizzato”: «Quando si torna a parlare di sfiducia ad Accorinti, succede sempre qualcosa». Certo, è un’ipotesi “ardita”, quella di collegare l’iter della mozione alla decisione del Gip che, contro la stessa richiesta di archiviazione avanzata dal pm, ha valutato la necessità di un ulteriore approfondimento d’indagine, che stavolta riguarderà altri 21 consiglieri, oltre ai 17 già rinviati a giudizio. Ma c’è un filo che unisce i due fatti: appena è arrivata la notizia dell’ampliamento dell’indagine su Gettonopoli, è saltata la manovra politica che avrebbe dovuto portare, entro il 31 dicembre, la mozione di sfiducia in Aula.

Ad ammetterlo è lo stesso Trischitta: «Le firme erano diventate 11, avevamo raggiunto l’accordo nel Centrodestra che le avrebbe portate a 18, avremmo chiesto ai consiglieri del Pd di pronunciarsi con chiarezza, visto che per mesi hanno sventolato la “bandierina” del “tutti a casa”. Ora tutto è molto più complicato». Può un consiglio comunale, che agli occhi della città appare “delegittimato” per via dell’inchiesta, “sfiduciare” l’amministrazione in carica?

Trischitta è anche l’unico che pubblicamente definisce «completamente sbagliato» il punto di partenza dell’indagine. Sarebbero stati commessi tanti di quegli errori, di metodo e di sostanza, da parte degli investigatori, da vanificare il principio ispiratore dell’inchiesta, quello di accertare se siano state o meno commesse irregolarità durante le sedute delle commissioni.

Sono tanti i consiglieri profondamente “prostrati”, che pure affermano di avere piena fiducia nella magistratura. Tanti che, come il calciatore della famosa canzone di De Gregori («Un giocatore non si giudica da un calcio di rigore, ma dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia»), ritengono che non possa essere “banalizzato” il proprio impegno politico nella questione dei “tre minuti” di presenza o meno in commissione. Tanti che invitano la stampa, la cittadinanza, gli stessi organi inquirenti, a valutare le storie personali di ciascuno dei quaranta eletti, gli atti prodotti in questi tre anni e cinque mesi, il coraggio mostrato nell’assumersi la responsabilità dell’approvazione di alcune delibere particolarmente delicate, con possibili risvolti sia sul piano contabile sia sul versante penale. «Tutti coinvolti, equivale a dire nessun colpevole», c’è chi ripete il mantra di chi si considera assolutamente innocente in questa vicenda: «Si colpiscano ben altri sprechi, non gli anelli deboli della catena».

È singolare trovare tra i nomi degli indagati consiglieri che, al di là delle varie posizioni e battaglie politiche condotte in aula, hanno sempre mostrato un volto irreprensibile (da: Gino Sturniolo e Nina Lo Presti a Ivana Risitano, da Elvira Amata ad Antonella Russo) e solidi principi etici. Ed è strano leggere, tra questi nomi, quello di chi, come Lucy Fenech, ha denunciato le “storture” dei lavori di commissione e ha richiesto, fin dall’inizio del mandato, l’attuazione di nuove regole. Lei, la Fenech, si dice assolutamente serena perché chi ha la coscienza a posto non può temere nulla: «Aspetto di ricevere l’avviso di garanzia, quello che ho fatto in questi tre anni è sotto gli occhi di tutti».

Quello che è certo è che da ora al 25 gennaio, la data fissata dal Giudice per le indagini preliminari, sarà sempre più difficile l’esercizio dell’attività politico-amministrativa in un clima del genere. Già ieri, come riferiamo in questa stessa pagina, si sono avute le avvisaglie durante i lavori della commissione chiamata a riconoscere e ad approvare un’infornata di “debiti fuori bilancio”. Nessuno, però, valuta al momento l’ipotesi più drastica: quella delle dimissioni di massa. O meglio, qualcuno sarebbe anche pronto a dimettersi, «ma davanti alla città, e ai nostri elettori, sarebbe come un’ammissione di colpa, ce ne andiamo a casa perchè abbiamo rubato i soldi pubblici. E non è così». Sono voci che s’intrecciano, echi che rimbombano nei corridoi, mentre dall’aula consiliare escono ed entrano volti sempre più scuri. Sembra trascorsa un’era glaciale dall’allegra confusione dell’estate del 2013...

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