Gioia, rabbia, dolore, sollievo, stupore. La gioia di chi torna ad indossare un paio di scarpe, il che significa, per chi da giorni è su un letto d’ospedale, capire che tra qualche ora sarà fuori di lì. A casa. La rabbia di chi vuole giustizia e verità, perché ciò che è successo «non doveva succedere». Il dolore di chi ha visto cadere, senza più rialzarsi, compagni di lavoro, amici, «fratelli». Il sollievo di chi sa di avercela fatta, nonostante tutto. E lo stupore di chi può dire, senza scivolare nella retorica, di «essere nato una seconda volta». Già perché Ferdinando Puccio, due martedì fa, era quasi morto. Sembrava che gli fosse stato riservato lo stesso destino di Gaetano D’Ambra, Christian Micalizzi e Santo Parisi, uccisi dal gas killer nella pancia della nave “Sansovino”, al molo Norimberga. Otto giorni dopo, Ferdinando è vivo, respira («ma ogni tanto devo vestirmi da carnevale», scherza con la mascherina addosso). È in piedi ed è pronto a tornare a casa.
Ieri è stato dimesso dal reparto di Neuroriabilitazione per gravi cerebrolesioni acquisite dell’ospedale Irccs-Piemonte. L’ospedale in cui gli è stata salvata la vita, in cui a 36 anni, Ferdinando Puccio, operaio di macchina della Sansovino, è nato una seconda volta. «Sto bene, solo un po’ di mal di gola», ci dice, seduto al fianco della moglie Rossella. «Solo un po’ di mal di gola», sembra quasi incredibile. «Fisicamente sto benissimo, mentalmente ancora... La sera piango, perché penso». Ma Ferdinando non ha avuto nemmeno il tempo di aver paura di perdere i propri cari: «Non ho metabolizzato, sono entrato nella cisterna e sono svenuto».
Del resto non può dir nulla, le raccomandazioni degli inquirenti, che lo hanno ascoltato due volte, sono state chiare. « Ho ripreso coscienza sei giorni dopo». Cioè tre giorni fa. «Il fatto che oggi possa uscire di qui è un miracolo vero. I dottori mi avevano detto che avevo il 20 per cento dei polmoni che non funzionavano, il cuore che mi funzionava al 50 per cento, l’Ismett era avvisato per il trapianto. A lei avevano detto che era impossibile per me sopravvivere». Lei è Rossella, che annuisce al suo fianco: «Dicevano che aveva il 2 per cento di possibilità», conferma. «E in due giorni sono rinato – ribadisce –. Incredibile. Sono la prova che si rinasce un’altra volta». Allora vi risposerete un’altra volta? «No, basta – sorride –. Però un altro bambino vogliamo farlo», dicono all’unisono. Il primo figlio, Vincenzo Maria, aspetta di riabbracciare il papà: «L’ho visto una sola volta, ma in stanza non voleva stare. Forse perché i colori sono brutti. O forse per il letto, i tubi». Ma adesso sarà contento, perché «fa due anni sabato» e potrà festeggiare con mamma e papà un compleanno che non può rendersi conto di quanto sia speciale. «Sono venuti tanti colleghi – ci racconta Ferdinando – pure quelli in pensione. In tanti sono rimasti scossi da quanto successo? Certo, perché non doveva succedere».
Anche Rossella giura di essere «rinata una seconda volta. Quando è successo ero a Palermo, a lavoro. L’ho saputo tramite tante telefonate, chi diceva una cosa, chi un’altra. Non mi ha chiamato la Capitaneria, neanche la società, dicendomi qualcosa. L’ho saputo dopo tre ore e mezza, ma tramite amici, Facebook. Poi sono scappata qui, tre ore tra le gallerie. Senza sapere in quale ospedale fosse. Perché nessuno mi ha chiamato per dirmi “guardi, suo marito è vivo, è al Piemonte”. Io chiamavo il Papardo, il Policlinico, cadeva sempre la linea, nel frattempo leggevo di decessi». Ferdinando però ci tiene a precisare che «la Caronte&Tourist si è comportata benissimo, non ci ha fatto mancare niente. Domandavi una cosa e te ne dava cinque». Chissà, però, cosa succederà. Ad esempio, se ci sarà un ritorno al lavoro. «Al momento non lo so, se torno. Già salire sulla nave mi dà brutti pensieri». Pensieri. Il pensiero va ai colleghi, a chi festeggia perché lui ce l’ha fatta. A chi non c’è più. «Ai miei fratelli che sono ancora vivi posso dire solo grazie, perché non ce l’avrei fatta senza di loro. A quelli che sono scomparsi... li andrò a trovare presto, appena avrò un po’ di tempo». La voce rotta dall’emozione. Rossella, con cura minuziosa, non perde l’occasione per sistemargli la mascherina sul viso. Lui sbuffa. Poi si abbracciano. «Sarà un bel Natale. Il mio secondo “primo” Natale».
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