Si aprirà il 21 dicembre prossimo davanti al gup del Tribunale di Messina Monia De Francesco la maxi udienza preliminare per il procedimento “Gotha VI”, ovvero la storia della mattanza di Cosa nostra barcellonese che parte dai primi anni 90.
Proprio in occasione di questa operazione l’ormai ex capo della procura peloritana Guido Lo Forte affermò che «l’organizzazione barcellonese ha una struttura gerarchica totalitaria come quella palermitana e di Caltanissetta».
E sono diciotto gli imputati che dovranno comparire davanti al giudice a dicembre, tra boss di rango, killer e comprimari: Tindaro Calabrese, 43 anni; Antonino Calderone, 28; Antonino Calderone, 41, inteso “Caiella”; Angelo Caliri, 49; Domenico Chiofalo, 31; Salvatore Chiofalo, 27; Salvatore “Sem” Di Salvo, 51; Carmelo Giambò, 45; Giuseppe Gullotti, 56; Pietro Nicola Mazzagatti, 55; Aurelio Micale, 38; Giovanni Rao, 55; Carmelo S. Trifirò, 44; ed i cinque pentiti Carmelo D’Amico, 45; Francesco D’Amico, 38; Santo Gullo, 53; Franco Munafò, 31; Nunziato Siracusa, 46.
Un mese addietro i sostituti procuratori della Dda di Messina, Angelo Cavallo e Vito Di Giorgio, avevano concluso le indagini preliminari dell’operazione antimafia, poi avevano depositato all’Ufficio gip le richieste di rinvio a giudizio. Adesso c’è una data precisa per il primo vaglio processuale.
La “Gotha VI”, ennesima e non ultima puntata della lunga inchiesta “Gotha” sulla mafia tirrenica e nebroidea, è scattata all’alba del 3 febbraio scorso, ha decrittato dalle nebbie mafiose di questi anni 17 omicidi e un tentato omicidio, con il contributo di parecchi collaboratori di giustizia, primo tra tutti il boss Carmelo D’Amico. Le dichiarazioni di Santo Gullo, Salvatore Campisi, Nunziato Siracusa, Carmelo D’Amico, Francesco D’Amico, Franco Munafò e Alessio Alesci, hanno trovato una serie di riscontri nelle minuziose indagini effettuate dai carabinieri del Ros e della Compagnia di Barcellona, coordinati dai sostituti della Dda Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo. Tra i personaggi di primo piano coinvolti i boss Gullotti, Rao, Di Salvo e Calabrese, che si sono succeduti ai vertici della famiglia mafiosa dei Barcellonesi.
Lunga la lista dei fatti di sangue agli atti di quest’ultima imponente inchiesta, in un arco temporale molto vasto: si parte dall’omicidio di Domenico Pelleriti, avvenuto a Terme Vigliatore il 23 luglio 1993, e si chiude con l’eliminazione di Giovanni Isgrò, il 1. dicembre 2012, un’esecuzione in un salone da barba a Barcellona.
Ma è indubbiamente l’omicidio scoperto il 5 maggio 1999, quello di Antonino Sboto, il cui cadavere venne trovato nel greto del torrente Lando con le mani mozzate e tre colpi di pistola alla testa, dopo una telefonata fatta ai carabinieri da Carmelo D’Amico, a rappresentare il sigillo sanguinario e feroce della mafia barcellonese. D’Amico stesso ha raccontato a magistrati e investigatori che l’omicidio era stato commesso perché Sboto, al di fuori dell’organizzazione mafiosa e senza autorizzazione, era solito commettere furti. Uno di questi era stato compiuto ai danni della sorella di un affiliato. Che, spinto dalla voglia di vendetta, interpellò Salvatore “Sem” Di Salvo. (n.a.)