Riuscire a capire quale forza animi ancora lo sguardo di un padre “costretto” a vedere per la prima volta la propria figlia sul letto di una corsia di ospedale ormai senza vita, è uno di quegli interrogativi destinato probabilmente a restare senza risposta. Almeno per chi guarda ai “numeri” degli sbarchi che interessano le nostre coste, ma poco o nulla sa di ciò che accade oltre quel molo. Una “barriera” che spesso divide chi arriva da chi già c’è. Lo sbarco dello scorso 26 ottobre ha fatto scivolare lungo la passerella della nave “Dattilo” sei bare, una delle quali piccolissima: piccola come i quindici mesi di Michael, figlia della giovane Happy e dell’altrettanto giovane marito Bright, entrambi nigeriani, giunti in Italia a distanza di un anno l’uno dall’altra e “costretti” a rivedersi non per iniziare una nuova vita insieme, ma per affrontare il dolore per la scomparsa di due figlie.
Oltre infatti ad aver perso Michael – i cui funerali, celebrati da sacerdoti africani in lingua inglese, si terranno questo pomeriggio alle 15.30 nella chiesa di Santa Maria del Gesù di Provinciale – scivolata dalle braccia di Happy proprio nel momento in cui quest’ultima stava per darla in salvo, la donna ha visto scomparire sotto il suo sguardo anche l’altra figlia, Lisa, di 10 anni, di cui purtroppo non è stata rinvenuto neanche il corpo. Ad essere sopravvissute al dramma della morte e della notte, quindi, solo Happy e la piccola Olivia, 7 anni, attualmente entrambe ospiti dello Sprar di Messina gestito dalla cooperativa “Senis Hospes”, sulla base di inserimenti gestiti dal Servizio centrale del Ministero dell’Interno. Quando le incontriamo, la piccola Olivia ha lo sguardo imbronciato perché i suoi stivaletti neri non sono della misura giusta. Ancora una volta, di fronte ad una scena del genere, viene da chiedersi come possa un genitore trovare la forza per mettere da parte il più profondo dei dolori, quello legato alla perdita di due figlie, e riuscire, con profonda dignità, a trovare la risposta giusta per esaudire il normale e naturale desiderio di una bimba: «Non preoccuparti, cambieremo la misura, stai tranquilla». Prima che il gommone a bordo del quale viaggiavano venisse intercettato dai mezzi della Guardia Costiera, Happy e le sue figlie hanno viaggiato in mare per due giorni. La decisione della donna di salpare dalla Libia nonostante il marito, Bright, partito un anno prima, le avesse detto di attendere nella speranza che lui stesso, una volta regolarizzata la sua posizione in Italia, potesse farla giungere in Europa in modo regolare, è stata il frutto della disperazione e della paura vissuta in territorio libico. Dove lo stato di guerriglia e di inumana violenza non lascia tregua a chi lo attraversa.
«Non sapevo che Happy fosse giunta in Italia – racconta Bright, arrivato in città dal centro di accoglienza di Alessandria, dove è stato ospitato un anno fa e dove sta iniziando a lavorare come mediatore –, mi ha chiamato quando è arrivata a Messina». Il viaggio della famiglia è iniziata nel marzo del 2010 quando Bright, insegnante con laurea in scienze antropologiche, sposato con Happy, insegnante di scuola elementare, è scappato a causa di alcuni conflitti armati tra bande in cui è stato coinvolto. Da qui il trasferimento della famiglia in Ghana e il successivo spostamento in Libia dove la speranza di trovare una stabilità economica si scontra con il caos di un territorio martoriato. «È vero che mio marito mi aveva detto di non partire – spiega Happy – ma restare in Libia avrebbe significato morte, per me e le mie figlie. Di conseguenza ho deciso il nostro destino». Un destino che per Lisa e Michael ha trovato la parola fine nelle acque del Canale di Sicilia, ma che, così come avvenuto per il piccolo Ahmed, il bimbo siriano giunto morto a Messina durante uno degli sbarchi del luglio 2014, a cui è stato intitolato il Centro di primissima accoglienza ad alta specializzazione per Minori stranieri non accompagnati, Casa Ahmed, troverà spazio e memoria nel prossimo centro per minori stranieri non accompagnati che aprirà battenti a Messina.(r.m.)