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Piazza Cairoli
specchio della città

Piazza Cairoli specchio della città

«Possiamo dire che la piazza come luogo pubblico costruito e distinto dagli spazi liberi di risulta ha un carattere di necessità molto ampio e generale per il fatto che con essa la città rappresenta se stessa. La città o una sua parte espone se stessa nella piazza e questa è lo specchio, la rappresentazione di quella. Forse la storia architettonica di una città comincia da qui». E purtroppo, come nel caso di Messina, finisce anche qui. Nel senso che la piazza – Cairoli ma non solo – diventa lo specchio di un declino, mentre altrove riflette immagini di rilancio o di rinascita.

Nel dibattito accesosi sui temi del commercio e della riqualificazione del centro urbano intervengono con un’ampia riflessione il presidente dell’Ordine degli architetti Giovanni Lazzari e il coordinatore della commissione qualità spazi urbani Marco Mannino. «È nella piazza, come ci spiega Agostino Renna, compianto teorico dell’architettura italiana, che la città manifesta il suo intento rappresentativo, che si rende riconoscibile, che diventa teatro della vita degli uomini. Purtroppo se guardiamo alla nostra città, alla situazione di degrado in cui versa piazza Cairoli, assieme a tanti altri spazi pubblici (pensiamo alla Galleria Vittorio Emanuele, ma anche a piazza Lo Sardo, ai tanti altri spazi urbani lasciati in uno stato di totale abbandono), se immaginiamo questi luoghi “specchio” rappresentativo della nostra comunità, quello che ne desumiamo induce allo sconforto».

Piazza Cairoli, in definitiva, cos’era e cos’è oggi? «È un luogo rappresentativo della struttura urbana della ricostruzione – spiegano Lazzari e Mannino –, è il centro commerciale, nodo urbano che segna il passaggio tra la città “storica” e la nuova espansione post terremoto connotata dalla struttura insediativa a “isolati”. È uno spazio che necessita, con evidenza, di interventi urgenti e l’urgenza si sa, richiederebbe una pronta soluzione. Di fronte a questo intollerabile degrado, noi architetti messinesi, con spirito civico, abbiamo interloquito con chi “governa” questa città. Sollecitati a indicare possibili interventi “tampone”, mirati ad arginare uno stato di emergenza, abbiamo provato a dare il nostro contributo, condividendo alcune misure da adottare. Ma in uno “stato di emergenza” queste azioni dovrebbero avere il carattere dell’immediatezza, per rispondere in modo tempestivo a una minaccia reale. Il declino ambientale, lo stato indecoroso in cui versano da tempo piazza Cairoli e gli spazi pubblici di Messina, rappresentano infatti una seria minaccia verso una condizione civile dell’abitare. Non possiamo aspettare oltre».

Forse ancor più di altre categorie, gli architetti sentono su loro stessi il peso di una situazione ormai insopportabile. «Crediamo si debba superare la logica dell’urgenza, gli interventi non possono essere solo quelli “tampone” per la cosiddetta “messa in sicurezza”. Dobbiamo provare a impostare programmi mirati che introducano e favoriscano il ricorso allo strumento del “concorso di idee” per stimolare il confronto sugli spazi pubblici ed evitare che Messina ricada in tanti errori compiuti in alcuni interventi di riqualificazione realizzati. Dobbiamo acquisire quella sensibilità che ci permetta di intendere la città come palinsesto. Un palinsesto aperto a modifiche, integrazioni, sovrapposizioni: è proprio la natura sincronica della città definita attraverso un principio di nessi acausali che la rende un “organismo vivo” e ogni operazione di “ripristino” porta con sé una perdita di valore. Riconoscere la natura architettonica di uno spazio della città, comprenderne il valore e le potenzialità, darne un “senso”, guiderà l’intera comunità a non commettere più errori».

C’è un esempio calzante: «Tutti istintivamente intuiamoche piantare alberi in piazza San Pietro a Roma sarebbe “inopportuno”. In modo forse meno intuitivo, dovremmo però anche riuscire a saper valorizzare uno spazio urbano, o sapere dove e come impiantare un giardino, o dare giusto risalto e valore a un monumento, una scultura, una fontana. “Il medico può seppellire i propri errori, ma un architetto può soltanto suggerire ai propri clienti di piantare dei rampicanti”, sosteneva il leggendario Frank Lloyd Wright. Sosteniamo con vigore che non vorremmo più “piantare rampicanti”, ci impegniamo perché si arrivi ad auspicate trasformazioni solo dopo attente riflessioni da parte dell’intera comunità. In tal senso, ribadiamo il nostro impegno provando a stimolare il dibattito».

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