Su quell’aereo Piero Lupò nell’estate frenetica del ’42 durante gli ultimi scampoli sanguinosi e incerti della Seconda Guerra Mondiale stava volando a bassa quota nei cieli di Viterbo e ogni tanto guardava col binocolo verso la terraferma, cercando un pilota della sua squadriglia di caccia che non era tornato alla base. I motori ronzavano forte e dalle nubi sporche di grigio all’improvviso spuntarono i Messerschmitt Bf 109 tedeschi, il sibilo delle loro mitraglie ta-ta-ta lo sentì sul collo e sulla carlinga e fu un attimo, il suo monoelica dell’Aviazione Militare Italiana fu colpito e precipitò avvitandosi infiammato verso il suolo inesorabilmente, un tonfo sordo concluse la sua esistenza dopo appena 23 anni.
Avrà ripensato in quegli ultimi lampi arroventati a sua figlia Maria Luisa che aveva soltanto nove mesi e non vedeva da troppo tempo, a sua moglie Francesca, a Messina, allo Stretto, a quello che era stato ogni sera davanti al nostro mare quand’era ragazzo.
Piero Lupò era un pilota d’areo messinese che morì mentre volava nei cieli di Viterbo per cercare un compagno scomparso. Morì da eroe. Eppure, nonostante il suo sacrificio, si dovrebbe dire “caduto nell’adempimento del dovere”, a Messina sua moglie Francesca Rizzi vedova Lupò, originaria di Fiumedinisi, che compirà 98 anni il prossimo maggio, attende ancora che le sia riconosciuta la pensione di guerra. Un’assurda storia tipicamente italiana tra carte bollate, cause interminabili, circolari ministeriali e competenze territoriali frazionate tra mille rivoli e città.
E l’ultima puntata giudiziaria di questa storia è ancora più sconfortante, perché quella signora di 98 anni dovrà aspettare ancora, fino al 15 marzo del 2017, per capire se le hanno dato ragione su un foglio timbrato e bollato. E deve pure “ringraziare”, perché la prima data di rinvio dell’udienza era prevista per l’11 novembre del 2017, ma visto che il suo avvocato Nino Brancatelli ha richiesto la classica anticipazione le hanno concesso “un’occasione più vicina”. A raccontarla non ci si crede. La figlia, che ci ha telefonato perché non si rassegna a questo stato di cose, commenta amara: «Chissà se mia madre potrà arrivare a marzo, per vedere come finisce».
Nella ragnatela di date non è facile raccapezzarsi. La signora Francesca, che è nata nel 1918, “di suo” sarebbe titolare di una pensione di guerra (ruolo di iscrizione n. 2130793/R), che le fu concessa con una determina del direttore generale delle Pensioni di guerra, la n. 1330456 del 20 gennaio 1983, con decorrenza, dal 1° maggio 1976. Quindi formalmente la 98enne, vedova dal 1942, aspetta tutto questo da quarant’anni tondi. Un’eternità.
La signora Francesca era una maestra elementare, andò in pensione il 10 settembre del 1981. Il Provveditorato agli Studi di Messina all’epoca le riconobbe un’anzianità di servizio di 35 anni, senza però computare i benefici previsti da due leggi: la n. 336 del 1970 (“Norme a favore dei dipendenti civili dello Stato ed Enti pubblici ex combattenti ed assimilati”), e la n. 824 del 1973 (“Norme sugli ufficiali di complemento e della riserva di complemento e sui sottufficiali di complemento e della riserva richiamati o trattenuti in servizio per lunghi periodi di tempo”). Il riconoscimento di tale status avvenne però nel 1983.
E visto che si tratta di un riconoscimento per cui si può invocare la retroattività, la signora Rizza, con una prima domanda nel ’92 e con un’altra del ’93, chiese al Provveditorato agli Studi di Messina una nuova valutazione. Le istanze vennero rigettate con provvedimento n. 545 del 12 maggio 1993 “in quanto prodotte in epoca successiva al collocamento a riposo…”.
E così cominciò il peregrinare tra le aule dei tribunali. La prima mossa fu ovviamente un ricorso al Tar, che dichiarò l’atto inammissibile per errata notificazione. Furono poi presentate altre istanze all’Inpdap e al ministero del Tesoro, ma la signora non ricevette mai alcuna risposta, nemmeno lo straccio di una riga per dirle qualcosa.
E si arrivò al 3 maggio del 2011 quando la signora Rizzi vedova Lupò, per cercare di vedersi riconosciuti i benefici, si rivolse alla Corte dei Conti-Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana. Il risultato, giunto soltanto un anno dopo, alla fine del 2012, fu un altro rigetto, questa volta argomentato in maniera diversa: “inammissibilità per difetto di giurisdizione, si ritiene che la competenza sia del giudice ordinario”.
Che fare? L’avvocato Brancatelli, che ormai questa causa se la sogna ogni tanto anche la notte, non si è perso d’animo, e ha proposto un ricorso davanti al Tribunale del lavoro di Messina per avere “riconosciuto il diritto dei benefici di cui alla legge n. 336/70 artt. 1 e 2 e legge n. 824/73, relativi ai miglioramenti economici e giuridici in ordine alla riliquidazione della buonuscita e dell’assegno pensionistico, stante lo status di vedova di guerra, con la corresponsione degli arretrati, rivalutazione monetaria ed interessi”.
L’udienza s’è tenuta il 23 settembre scorso. La causa è stata, come si dige in gergo, “assunta in camera di consiglio per la decisione”. E la signora Francesca aspetta. Le auguriamo di “festeggiare”, se tutto va bene, quando di anni ne compirà cento. Invitateci per la torta, per favore.