«Leggendo il documento ho provato disgusto e amarezza». Non ha usato mezzi termini Vincenzo Ciraolo, presidente dell’Ordine degli avvocati aprendo ieri mattina, in un’affollata assemblea nell’aula magna della Corte d’Appello, la discussione sulla proposta del Governo di modifica delle piante organiche dei nostri tribunali di primo grado. La proposta ministeriale è arrivata nei primi giorni di agosto, con una richiesta di parere da parte dei consigli giudiziari entro il termine perentorio del 20 settembre.
Nel testo, tra i numerosi criteri enunciati, si parla di adeguare il numero di magistrati alle esigenze del territorio: in tal senso - ha detto Ciraolo - «ci saremmo aspettati un’implementazione del numero e magari anche un’accelerazione sul secondo palagiustizia».
E invece, per il nostro distretto, si prevede la riduzione, tra tribunali e procure, di 6 unità: 3 a Messina, 2 a Patti e 1 a Barcellona. «Una scelta inspiegabilmente punitiva per il nostro territorio» che si teme possa essere il preludio per qualcosa di più grave: la soppressione della Corte d’Appello, progetto per il momento accantonato ma che potrebbe ripresentarsi, dato che «con un organico depotenziato il rischio di essere tacciati di improduttività è dietro l’angolo». La riforma attende nei prossimi giorni il parere obbligatorio (ma non vincolante) del Csm, ed è prima che tale consesso si pronunci che la nostra città può giocare tutte le sue carte a disposizione.
Ecco la “chiamata alle armi” da parte dell’avvocato Ciraolo. Allo stesso tavolo, Corrado Bonanzinga, presidente della giunta distrettuale dell’Anm di Messina, per lanciare il messaggio che avvocati e magistrati sono uniti per una battaglia che dovrà coinvolgere anche l’intera cittadinanza. Per Bonanzinga, la soluzione adottata dal Governo contraddice con i criteri enunciati: «Come si può - cita questi esempi - raggiungere l’obiettivo dello smaltimento dell’arretrato con una riduzione dell’organico? O come si può affermare che si è tenuto conto dell’incidenza della criminalità mafiosa?».
Altro punto riguarda la disparità di trattamento perché la riforma non penalizza tout court l’intero Meridione: a Palermo e Catania non sono in vista cambiamenti rilevanti e a Reggio Calabria si prevede addirittura l’arrivo di altri 9 magistrati. Tutti d’accordo quindi nell’enunciare a gran voce che si tratta di una decisione “politica” che si può ribaltare solo unendo forze diverse ma con un obiettivo comune.
«Siamo ciclicamente sotto attacco», è la tesi del presidente della Corte d’appello, Michele Galluccio. «Messina ha un carico di lavoro maggiore di tante realtà più tutelate. I magistrati del nostro distretto sono tra i più produttivi di Italia, nonostante abbiano un carico di oltre 2000 processi a testa. È questo il premio del Governo?». Dello stesso avviso il procuratore generale Giovanni D’Angelo che ha invitato i presenti a premere affinché questa scelta venga posticipata a dopo l’approvazione della riforma della giustizia (adesso in discussione in Parlamento). A condividere questo grido di allarme i parlamentari messinesi Vincenzo Garofalo e Bruno Mancuso (entrambi di Ncd). «Questa battaglia non riguarda solo due categorie professionali ma l’intero territorio» ha detto l’on. Garofalo, impegnandosi a chiedere le opportune verifiche sul caso. Il sen. Mancuso ha sostenuto che oltre all’annullamento della riduzione d’organico sia giusto battere i pugni per ottenere l’implementazione chiesta da anni. Presente anche il deputato regionale del Pd Filippo Panarello che si è detto pronto, per ciò che gli compete, a fare la sua parte. Non è passata inosservata invece, in un momento così delicato, l’assenza di un rappresentante di Palazzo Zanca.
Ma veniamo ai temi. Per Giuseppe Antoci, presidente del parco dei Nebrodi e bersaglio, solo sei mesi fa, di un fallito attentato, «il segnale che verrebbe lanciato sarebbe gravissimo, significherebbe indietreggiare». «Messina sta lavorando bene nel contrasto alla mafia ed è riconosciuta come modello da esportare. La Commissione nazionale antimafia ci ha dichiarato piena fiducia, chiedendoci di continuare in questa lotta. Nessun esercito durante la guerra si priva di forze e quella che combattiamo è una guerra».
C’è poi la voce “migranti”, un problema non più emergenziale ma strutturale, dato che Messina è tra i primi 5 porti in Italia per numero di sbarchi. Antonino Totaro, presidente del Tribunale, ha evidenziato che per ogni minore non accompagnato occorre che un magistrato apra un fascicolo. Ci sono poi i processi ai presunti scafisti. Si alzano le voci anche da Barcellona, meta negli ultimi mesi di diverse visite del ministro Orlando. «Se non ci sarà un aumento di 4 giudici come ci è stato promesso, non possiamo fare altro che chiudere» ha detto Giovanni De Marco, presidente del Tribunale della città tirrenica. Mentre da parte di Francesco Russo e di Emanuele Crescenti, rispettivamente presidente dell’Ordine degli avvocati e procuratore della città del Longano è venuta la richiesta, da un lato, di fare autocritica («arriviamo sempre tardi»), dall’altro di evitare di essere «messinesi gattorpadiani» e difendere l’interesse comune. Per Adriana La Manna, presidente della Camera Penale di Messina, «i cittadini saranno le vere vittime, visti gli inevitabili allungamenti dei tempi processuali». Molto preoccupato anche il mondo accademico, rappresentato ieri dal prof. Carlo Mazzù: «Il mantenimento di un numero accettabile di magistrati è vitale per il dipartimento di giurisprudenza e per Messina, città che sconta un alto deficit di legalità». Le istanze raccolte saranno mandate alla VII commissione del Csm che è deputata alla scelta, ma c’è stato chi come Francesco Marullo, delegato distrettuale di Messina al Consiglio nazionale forense, si è chiesto se il Csm sarà coeso e avrà la forza di opporsi.