Nella grande spianata tra via San Raineri e il mare orlata di tamerici, di quel che era la ex Degassifica Smeb, sono rimasti un solo grande serbatoio, il Tk103, uno più piccolo accanto all’ex palazzina uffici, e poi una selva di strutture affioranti dal sottosuolo o che si ergono solitarie nel vuoto.
Vasche piene di acqua dalle tinte verdastre, relitti di torri e scale di cemento armato. È un insieme ancora desolante, che testimonia però l’abbattimento sempre più avanzato dell’insediamento industriale realizzato negli anni 80, ovvero le preziosissime demolizioni eseguite dalla Curatela fallimentare dell’ex società Smeb. Lavori costati poche migliaia di euro in terreni che ancora sprigionano miasmi di benzina: basta avvicinarsi a quei tubi oggi vuoti in cui scorrevano, per 26 chilometri, le migliaia di tonnellate di flussi oleosi pompati dalle navi. Si aprono ancora scenari da film lugubri o fantascientifici. Sono rimasti, sulla terra ancora chiazzata di pozze di pece e discariche di lana di vetro, ma liberata, quei vasti cerchi di ferro nero che erano le basi delle cisterne e che ora riportano alla memoria certi segni lasciati dagli immaginari atterraggi degli... Ufo.
Torna a vedersi così, a poco a poco, una costa mozzafiato, quella della Falce greca, del Montorsoli di Messina, della Real Cittadella spagnola, stuprata da enormi masse di cemento e ferraglia sopra un sottosuolo imbevuto di veleni. A soli 300 metri dal parco “Don Blasco” – che si inaugura domani alle 17,30 – l’immagine del ritorno alla vita non è più solo quella dei pescatori che passano attraverso gli squarci nei muri e s’avventurano a pescare dai pontili Smeb. Quei giganti di cemento che ormai da dieci anni, quando le navi portarono i reflui petroliferi in Danimarca, sono stati lasciati lì, sulla riva dello Stretto. A continuare a violentare il mare e la sabbia fine, la Real Cittadella a destra, la Torre lanterna a sinistra, il paesaggio nel suo insieme.
Da meno di quattro mesi nella grande spianata l’impresa catanese Metal Ferro, per conto della Curatela, taglia a pezzi e rade al suolo, una dopo l’altra, le cisterne alte venti metri e poi ingombranti torri e ciminiere. È così, oggi, lì dove il porto antico della “città dello Stretto” faceva pensare a Bagnoli, c’è una cartolina nuova.
Al posto del cimitero industriale, con le sue enormi “tombe” di fronte alla Calabria, si avverte ora quanto lo spazio vuoto, quand’è frutto di una bonifica, possa esser bello, ovvero sia straordinariamente incoraggiante. È la più importante operazione di demolizione a tutela dell’ambiente mai eseguita a Messina. È un intervento che non ha richiesto finanziamenti ma è stato il frutto di una responsabile volontà di collaborare per il bene della città. È un merito della Curatela fallimentare affidata all’avvocato Marcello Parrinello al quale le tre Istituzioni chiave (l’Autorità portuale, il Comune e la Regione) non hanno fatto mancare il sostegno. Quelle stesse tre istituzioni che, grazie alla mediazione dell’Università, finalmente, dopo decenni, hanno smesso di litigare sulla Falce.
Attenzione, però, a non cullarsi. Sono ancora presenti una notevole quantità di inquinanti: il sottosuolo ne è carico, il fondale marino può non esserne estraneo. Le ultime analisi in profondità, diverse da quelle più superficiali necessarie agli attuali lavori, le fece nel 2010 la Regione tramite una piccola gara. Non è chiaro se quei rilievi fossero parziali, né dove siano i risultati. Certo è che si andrà avanti, ci si toglierà ogni dubbio. Tutti le Istituzioni si ritroveranno mercoledì, all’Autorità portuale, nella seduta del Tavolo tecnico, convocata dal rettore Navarra. È il “Patto per la Falce”, è la via maestra da seguire.