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«Signor giudice arresti mio figlio»

«Signor giudice arresti mio figlio»

Giuseppe è entrato in carcere l’altra mattina che l’afa nei corridoi delle celle era insopportabile. Nel foglio che aveva tra le mani, l’ordinanza di custodia cautelare, c’era scritto di estorsione e maltrattamenti. È stata sua madre a denunciarlo. Con la morte nel cuore. Non ce la faceva più, qualcosa doveva fare per salvarlo.

Da anni, lui ne ha 23, si sbatte con marijuana e crack, è entrato e uscito da centri di recupero, ha subito diversi Tso, ha picchiato sua madre, ha distrutto i mobili della casa. E poi chiede in continuazione soldi, sempre soldi, e quando non gliene danno ruba in casa di tutto e lo rivende per raggranellare euro e comprarsi lo sballo inutile.

Alcune volte s’è fatto perfino accompagnare dalla madre nelle viuzze di Giostra per farsi dare la roba e schiantarsi poi nel suo letto. L’inferno di famiglia in un interno per chi gli vuole bene e lo vorrebbe vedere tranquillo.

Eppure per un periodo Giuseppe era riuscito ad uscirne, a stare bene o male tranquillo tra le mura di una casa impossibile spesso da sopportare. E più volte i suoi genitori lo hanno convinto a ricoversarsi, anche per lunghi periodi, in strutture specializzate, sia in Calabria che in Sicilia. Ma poi lo sballo è sempre tornato.

L’ultima volta, pochi giorni fa, è stato troppo. Quando dopo aver fatto il giro dei parenti non ha avuto nemmeno un soldo di sera, fuori di sè, lungo la Panoramica Giuseppe ha prima divelto una cabina telefonica e poi s’è accanito contro i vetri di un’edicola, frantumandoli, poi è andato da un altro parente e all’ennesimo rifiuto dopo una richiesta di denaro si è portato il suo motorino, che avrebbe sicuramente rivenduto il giorno dopo a pochi euro pur di avere il contante.

Tutto questo è nelle quattro pagine urgenti che l’altra mattina ha firmato il gip Salvatore Mastroeni per spedirlo in carcere, con le accuse di estorsione e maltrattamenti in famiglia. Poi è arrivato il suo difensore, l’avvocato Nino Cacia, e l’hanno accompagnato in cella.

«È un classico caso - scrive il giudice - in cui la denunzia diventa una ultima “ratio” per proteggersi dal figlio e anche per proteggerlo. Casi in cui emerge la sofferenza di chi denunzia sia per quel che denunzia sia per essere costretti a denunciare un congiunto».

Sul piano tecnico scrive poi il gip che «... le dichiarazioni rese trovavano poi riscontro nello stato di fatto rinvenuto dalla Pg operante al momento dell’intervento, nonché nelle fotografie fornite. Lo stato di dipendenza da sostanze stupefacenti, i ricoveri, i Tso, sono tutti riscontri dei racconti e dei reati, causale prima. Valutate sotto il profilo della attendibilità, esse dimostrano la estorsione, in cui l’importo limitato, non diminuisce la gravità delle violenze, sopraffazioni, e sofferenze inferte ai congiunti. Sofferenze costanti, con una vita che viene distrutta e dilaniata da comportamenti del figlio, integrandosi pienamente i maltrattamenti».

Forse non tutto è perduto. Quando uscirà dal carcere Giuseppe troverà come sempre ad aspettarlo i suoi genitori. Il coraggio di vivere senza lo sballo è una possibilità.

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