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Tre anni di Accorinti: cosa resta della “rivoluzione”

Tre anni di Accorinti: cosa resta della “rivoluzione”

La “portaerei” appena affondata a mani nude. I piedi, anch’essi nudi, ben piantati sul marmoreo pavimento del palazzo comunale. Le migliaia di braccia tese in una piazza Unione Europea improvvisamente apparsa troppo piccola. Tutto questo accadeva esattamente tre anni fa. Contro ogni pronostico, Renato Accorinti diventava sindaco di Messina. Prendendo in mano le chiavi di una macchina enorme ad un passo dalla rottamazione. Tre anni di mandato non sono così tanti da esprimere giudizi definitivi, ma sono abbastanza per tracciare un bilancio credibile. Specie alla luce di quello che non può non essere considerato il punto di partenza: il programma che nel 2013 Accorinti e la sua squadra presentarono ai suoi elettori.

Poi c’è tutto quello che in un programma non poteva essere previsto: il cambio in corsa di alcuni elementi, di quella squadra (con annesse polemiche); i casi esplosi nel corso di questi 36 mesi, l’emergenza idrica, i conflitti istituzionali (specie con la Prefettura), i rapporti con la politica “tradizionale” e le mozioni di sfiducia solo annunciate, quelli con la cosiddetta base, le “amicizie” perse per strada (e sono più di quanto anche i social network possano raccontare), ma anche la ribalta mediatica, specie lontano dai confini locali, i grandi eventi come la marcia per la legalità al fianco di Don Ciotti, le mani tese davanti ai tir sul cavalcavia (forse soltanto uno spot). E le scelte di uomini venuti da fuori con risultati altalenanti: prima il superburocrate Antonio Le Donne, factotum a Palazzo Zanca; poi il “promosso” Giovanni Foti all’Atm, vero fiore all’occhiello di questo triennio; quindi il controverso Alessio Ciacci, il cui progetto sul tremendamente complicato affaire rifiuti si è interrotto a metà senza che, a tutt’oggi, se ne siano capite le vere ragioni; e infine l’altrettanto controverso, per certi versi criptico, Luca Eller Vainicher, renziano convinto se non di più, chiamato a risollevare una gestione economico-finanziaria rivelatasi quantomeno traballante.

Proprio il bilancio era il primo punto del programma elettorale. Si parlava di «riduzione dei costi della politica» con «taglio degli emolumenti per il sindaco e gli assessori e proposta di riduzione dei gettoni per i consiglieri comunali». Nulla di tutto ciò è accaduto. «Controllo e rimodulazione del sistema di corresponsione delle indennità aggiuntive ai dirigenti». Ma anche qui il ritardo è evidente. E vien quasi da sorridere nel leggere «rispetto dei termini definiti dalla legge per l’approvazione dei bilanci». La crisi più grave, infatti, nasce proprio dal poco invidiabile record raggiunto poche settimane fa: a Messina si è approvato l’ultimo Previsionale 2015 d’Italia, con gravi conseguenze su più fronti. A pagare è stato l’ex vicesindaco Guido Signorino, nei primi mesi “attore” principale di questo mandato. Ma neanche dei successivi bilanci, ad oggi, c’è traccia.

Proprio nel campo delle politiche finanziarie la giunta Accorinti ha fatto una delle scelte più importanti, che dopo tre anni rappresenta il pilastro su cui, di fatto, si poggia l’intero cammino: il piano di riequilibrio decennale. Quando ottenne il via libera in consiglio comunale, su queste pagine parlammo di “patto” politico-amministrativo tra la Giunta e il consiglio comunale. E al di là delle schermaglie estemporanee e delle parole al vento sulla sfiducia, possiamo dire oggi che quel patto regge ancora, palesandosi quando da votare ci sono gli atti che contano (specie economicamente). Ecco perché, ancora oggi, il destino dell’amministrazione Accorinti, più che alle manovre politiche (e alla pur rilevante novità della fascia blu di sindaco metropolitano), è legato a quello del piano di riequilibrio. Sul quale a settembre da Roma potrebbe arrivare il primo responso. Dopo quel passaggio, potrebbe iniziare davvero una nuova pagina. Forse anche l’ultima.

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