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Le battaglie logorano ma a non combatterle si perde sempre

Le battaglie logorano ma a non combatterle si perde sempre

Le battaglie, per vincerle, bisogna combatterle. E per una volta lasciateci peccare d’immodestia. Noi ci abbiamo sempre creduto. Migliaia di articoli, milioni di parole scritte su questo giornale, erano e sono le nostre armi. Ci sono tante ragioni per le quali la Zona falcata è diventata, per noi e per i messinesi di “buona volontà”, quasi un chiodo fisso.

La prima è di ordine mitologico. La Falce è stata creata dal dio Kronos. E qui è nata Zancle, da qui ha preso origine la storia gloriosa della città-porto greco-romana.

La seconda attiene agli aspetti economici. Una città di mare che preclude a se stessa la possibilità di riqualificare, riutilizzare e valorizzare la più rilevante porzione del suo waterfront non riuscirà mai a esprimere appieno il proprio potenziale. Altrove lo sfruttamento (in senso positivo, non di squallida speculazione) di quest’area sarebbe stata certamente il motore di ogni piano di sviluppo del territorio.

La terza è strettamente psicologica. Cancellare gli obbrobri del passato, bonificare i terreni, riqualificare i beni monumentali, ambientali e paesaggistici, immaginare percorsi di turismo ecosostenibile, è sempre stata una splendida ma inutile utopia. Cominciare a farlo davvero avrebbe un effetto dirompente, simbolico e concreto, sarebbe una formidabile iniezione di fiducia, dopo decenni di depressione spinta e permanente autolesionismo.

Il cuore della Falce è meravigliosamente posto tra due poli: la Lanterna cinquecentesca del Montorsoli e la secentesca Real Cittadella. Tra questi due preziosi segni di Storia, si estende questa enorme impalcatura del Nulla, un tempo emblema di un fallito tentativo di industrializzazione “pesante” – non parliamo di antiche ere geologiche, è nel 2000 che venne firmato un decreto della Regione siciliana che autorizzava la Degassifica dei Cantieri navali Smeb a smaltire i rifiuti e le sostanze più tossiche e nocive provenienti dalle Raffinerie di Priolo e di Taranto, l’atto più folle di una lunga sequela di pazzie –, da oltre un decennio solo un grande cimitero di scheletri metallici, di ferro, di cemento e di amianto. È stata questa la Casa circondariale dei nostri sogni, la prigione dove abbiamo rinchiuso il futuro. Fossimo stati lo Stretto, avremmo avuto ogni giorno la tentazione di farci giustizia da noi, cancellando tutto con uno tsunami. Ma oggi c’è un altro modo per ottenere lo stesso obiettivo. E ieri finalmente, dopo decenni d’inerzia, è arrivato un primo segnale di vitalità e di volontà politica. Le battaglie logorano, ma a non mettersi in gioco si perde sempre.

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