Il rapporto tra una fedele e un sacerdote sarebbe andato oltre la sfera religiosa, tramutandosi in una relazione interpersonale molto intima. Una storia tanto particolare quanto tormentata, troncata tempo fa, e sfociata in una disputa giudiziaria tra le parti. I protagonisti sono una messinese di 54 anni e un ecclesiastico della stessa età. Stando a quanto riportato dall’atto di citazione firmato dal difensore della donna, l’avvocato Andrea Florio, la signora, cattolica credente e praticante, dal 2012 è stata assistita dal parroco «nelle funzioni di padre spirituale per incontri di preghiera con cadenza settimanale», in una parrocchia della zona sud della città. Dal febbraio del 2014, il religioso le avrebbe proposto «uno speciale percorso di preghiera individuale, due volte a settimana, durante le ore serali». Dal quel momento, la frequentazione è diventata sempre più assidua, tant’è che l’uomo «spesso accompagnava a casa la fedele al termine degli incontri». A causa di un infortunio subito dalla donna, che per un certo periodo ne ha condizionato gli spostamenti, gli incontri si sono spostati nel domicilio della 54enne, «dove il prete si recava giornalmente, a partire dalla 21, fino a tarda notte». Nell’ottobre dello stesso anno, i due sarebbero entrati in intimità, consumando «rapporti sessuali in casa di un’amica della signora». Poco tempo dopo, il pastore ha comunicato alla fedele l’intenzione di cessare ogni rapporto. Ed è a questo punto che sarebbe entrata in gioco la Chiesa. «La Curia, venuta a conoscenza della vicenda», avrebbe «intimato alla signora di cessare ogni contatto con il prete e di riparare agli errori affidandosi ad altra guida spirituale», si legge ancora nell’atto di citazione. La fedele ha quindi deciso di intentare una causa civile, chiedendo un «risarcimento del danno da fatto illecito» e contestando una presunta «induzione a compiere atti sessuali per abuso di condizione di inferiorità», visto che la controparte avrebbe fatto leva sulla debolezza e sulla fragilità della fedele e su una «naturale posizione di supremazia psicologica-soggezione». La 54enne, infatti, «dal 26/04/2011, è tuttora in carico al Dsm di Messina», presentando, tra le altre cose, frequenti crisi di pianto, tendenza all’isolamento e manifestazioni depressive. Circostanze, queste, «apprese dal parroco in confessionale». La difesa, inoltre, si rifà al Diritto canonico nella parte in cui si prevede che «i chierici si comportino con la dovuta prudenza nei rapporti con persone la cui familiarità può mettere in pericolo l’obbligo della continenza oppure suscitare lo scandalo dei fedeli». A seguito dei fatti, la signora sarebbe sprofondata in uno stato di frustrazione, depressione e turbamento psicologico. Alla luce di tutto ciò, l’avvocato Florio ha chiesto al Tribunale di accertare e dichiarare la responsabilità del sacerdote e di condannarlo, in solido con l’Arcidiocesi, al risarcimento del danno subìto dalla donna. Per fare valere le ragioni di quest’ultima, la difesa ha individuato testimoni, prodotto a supporto messaggi di posta elettronica e tre file audio. Nei confronti del convenuto e nell’interesse dell’Arcidiocesi, è intervenuto l’avvocato Gianfranco Limosani, secondo cui «l’atto introduttivo del giudizio è assolutamente infondato in fatto e inammissibile in diritto». Si aggiunge che «nessuna responsabilità oggettiva può essere addebitata all’Arcidiocesi di Messina» e che tra parrocchia-parroco e Diocesi-vescovo è totalmente assente un rapporto di subordinazione o immedesimazione organica, al punto che il parroco non è retribuito dal vescovo e la parrocchia costituisce un ente giuridico autonomo, senza alcun rapporto di immedesimazione tra parroco e Curia. Quanto allo specifico rapporto tra i protagonisti della vicenda, si rimarca che la donna «è perfettamente in grado di intendere e di volere e di percepire il valore e il disvalore sia delle dichiarazioni rese che dei comportamenti propri e altrui». Quindi, nel caso di sussistenza di una relazione sentimentale, «nessun illecito è stato consumato dal sacerdote».
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