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La pasta Triolo torna in tavola
Ha riaperto lo stabilimento

La pasta Triolo torna in tavola Ha riaperto lo stabilimento

Era il 2008, quando il pastificio Triolo chiudeva i battenti, in questi lunghi anni tanti sono stati i clienti affezionati che hanno riempito di email e lettere i titolari per avere notizie sulla sorte dell’azienda e in particolare su quei formati di pasta, come la “margherita”, che erano onnipresenti nelle dispense delle cucine.

Oggi la “Triolo” ha ripreso l’attività. È questa la notizia nuova, particolarmente piacevole, per la città e per tutti coloro che cercano di difendere con le unghie e con i denti le proprie radici: «Il prodotto era amato – ci racconta Giuseppe Triolo –, da Sud a Nord. Del resto per noi, questo non ha rappresentato negli anni solo un lavoro, ma anche una grande passione».

Giuseppe è il volto giovane dell’azienda. Ama la città dello Stretto con pregi e difetti. Ha scelto di rimanere e di investire, facendo lo stesso lavoro del padre e del nonno perché l’esodo in massa, tratto tipico degli ultimi anni, sta svilendo sempre più una terra che invece ha bisogno di braccia e menti che riscostruiscano la speranza.

«Io sono cresciuto in fabbrica. Qui l’operosità era scandita da molte cose: l’impegno costante dei dipendenti, lo studio di nuovi prodotti, le richieste di ordinazione costanti»

Ma cosa amava e cosa cerca di più la gente? «Tutta la linea della pasta secca era ed è molto ricercata. Noi ancora non ce l’abbiamo ma ci stiamo attrezzando per portarla nuovamente sul mercato. Oggi trattiamo solo quella fresca, e in più abbiamo i sughi e una linea da forno».

Dentro la fabbrica sono passati molti lavoratori, negli anni 60 e 70, prima che la tecnologia snellisse e accelerasse tutte le fasi lavorative, c’era un operaio per ogni cento kg di pasta. L’asciugatura avveniva fuori al sole, si lavorava con i torchi, (oggi sostituiti con le impastatrici a ciclo continuo) e la distribuzione avveniva tramite le botteghe. Niente carta o plastica. La pasta era riposta in cassetti e suddivisa in base ai formati. Si raccoglieva con la “sassola” e i clienti portavano i sacchetti da casa.

«Questa era una bella realtà – racconta con sguardo nostalgico, uno degli ex lavoratori storici, Giovanni Galletta, oggi guardia giurata, il fallimento è stato un colpo al cuore per tutti. Nella mia famiglia eravamo tutti pastai e mio padre mi ha trasmesso l’amore per questo mestiere. Alla Triolo eravamo come una famiglia, lavoravamo giorno e notte, servendo molte zone d’Italia e per questo sono felice che sta rinascendo».

«Il ricordo più bello – conclude, rievocando una scena retrospettiva il giovane Triolo –, quando io e mio nonno eravamo insieme in fabbrica. Io e lui camminavamo sempre mano nella mano e lui, che questa passione ce l’aveva proprio nell’anima, mi spiegava come funzionava più o meno la produzione. C’erano i lavoratori che ci chiamavano “U principaluni” e “u principaleddu”, e questa cosa mi faceva ridere tanto. Ogni tanto dispensava le sue perle di saggezza, ad esempio, ricordo, che un giorno disse “Se sai fare la pasta il pane non ti mancherà mai”. Il prodotto locale del resto è un biglietto da visita per la nostra città che dovrebbe vivere di turismo. Molti cittadini raccontano che più messinese della “margherita” non c’è niente, e un po’ come la granita. Gli anziani la ricordano, e anche i più giovani perché ne hanno sentito parlare, ed è per questo che tutti aspettano con ansia la ripresa dell’altra linea che dovrebbe riprendere a breve».

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