«Gli hotspot rischiano di essere un imbuto». Lo avevano dichiarato gli stessi uomini del Viminale nello scorso mese di febbraio. E uno di quegli “imbuti” il ministero dell’Interno adesso intende realizzarlo proprio qui, in riva allo Stretto. Era stata una precisa simulazione – quella prodotto da una startup, “Datatellers” – a dimostrare che se, nel corso del 2016 dovessero arrivare tanti profughi quanti ne sono approdati in Italia e in Grecia nel 2015, gli hotspot previsti dal Piano dell’Unione europea sarebbero ridotti al collasso. E non nell’arco di qualche mese o settimana, ma in 24-48 ore. E poiché le previsioni da qui a settembre-ottobre sembrano drammatiche – alle porte ci sarebbero ondate di arrivi di gran lunga superiori a quelle dell’anno precedente –, ci si chiede come è possibile ipotizzare la creazione di un Centro di prima accoglienza in una città che non ha strutture pronte né per il presente né per il prossimo futuro.
Gli hotspot sono quei Centri dove i migranti vengono registrati, identificati (con il sistema delle impronte digitali) e, in teoria, smistati altrove. A parte le evidenti difficoltà di registrazione e identificazione, verificatesi negli altri Centri finora funzionanti, lo smistamento si rivela un’utopia, così da realizzare un cocktail micidiale: da un lato, il flusso continuo nella struttura, dall’altro la fuga degli ospiti dal Centro e la loro permanenza, di fatto in forma clandestina, sulle strade e nelle piazze delle città.
Messina in questi anni è stata costretta ad attrezzare ricoveri di fortuna, tendopoli allestite in campi da baseball, “lettopoli” di minori non accompagnati all’interno di palestre, il tutto in un crescente stato di sofferenza sia per la città ospitante sia per gli stessi ospitati. Ed oggi, sempre in riferimento ai minori, le tre strutture operanti nel capoluogo scoppiano. Messina e la Sicilia, così come la Calabria e la Puglia, non possono essere gli unici avamposti destinati a essere travolti da flussi migratori inarrestabili, mentre gran parte delle città italiane ed europee se la spassa, magari approfittando anche della debolezza strutturale di realtà come la nostra, mirando così (come sta avvenendo) a intercettare, ad esempio, i traffici croceristi che rischiano di essere interrotti, qualora davvero Messina apparisse come un grande “hospot” in riva al mare.
E contro la soluzione individuata, dopo la presa di posizione del sindaco Accorinti e dell’assessore alle Politiche sociali Nina Santisi, si schierano anche i parlamentari messinesi del movimento Cinque Stelle. «Gli hotspot, già in questi pochi mesi di vita, si sono rivelati un fallimento. Si sono dimostrati essere dei luoghi che bloccano, respingono e trattengono i migranti, anziché accoglierli. Ecco perché la recente notizia di volerne creare uno a Messina ci lascia perplessi». Lo hanno dichiarato il parlamentare nazionale Francesco D’Uva e la deputata regionale Valentina Zafarana i quali, in una nota, chiariscono i motivi per i quali ’idea di un hotspot nella città dello Stretto è da escludersi. «Non dimentichiamo che gli hotspot previsti dalla Road map italiana non hanno alcun fondamento giuridico nel nostro ordinamento – ha ribadito D’Uva – né trovano una chiara definizione ai sensi della normativa vigente. Secondo il deputato pentastellato, «sebbene gli hotspot risultino utili alle operazioni di ricollocamento, al momento sono evidentemente fallimentari. I ricollocamenti, infatti, non partono o comunque riguardano poche centinaia di migranti. Questo fa sì che essi diventino, di fatto, dei Centri di lunga permanenza».
Sulla stessa lunghezza d’onda Valentina Zafarana che punta, invece, su sistemi di «accoglienza diffusa e creazione di Sprar che rispettino la dignità di chi in questo momento giunge in Italia spinto solo da guerre e sofferenza».
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Cosa sono
Centri di prima accoglienza
Gli hotspot sono centri in teoria attrezzati per l’identificazione dei migranti. La polizia italiana viene aiutata da alcuni funzionari delle agenzie europee Frontex, Europol, Easo e Eurojust. In questi Centri le forze dell’ordine registrano i dati personali dei richiedenti asilo, ne raccolgono le impronte digitali (entro 48 ore dal loro arrivo) e trattengono i migranti fino a identificazione avvenuta.