La Corte di Cassazione ha depositato le motivazioni della sentenza con cui sul finire dello scorso mese di aprile ha annullato, con rinvio, l’obbligo di dimora all’onorevole Francantonio Genovese.
In particolare, la seconda sezione della Suprema Corte, presieduta dal giudice Antonio Prestipino (relatore Domenico Gallo), pone l’accento su alcuni passaggi dell’ordinanza impugnata dal difensore di Genovese, l’avvocato Nino Favazzo. Il provvedimento in questione è quello del 30 dicembre scorso, con cui il Tribunale di Messina, a seguito di istanza di riesame della posizione di Francantonio Genovese, «indagato per i reati di associazione per delinquere, truffa aggravata e riciclaggio, confermava l’ordinanza del gip, emessa il 25-26 novembre 2015, con la quale era stata applicata la misura cautelare dell’obbligo di dimora a Messina».
La Corte di Cassazione evidenzia che per il Tribunale vi era un quadro di gravità indiziaria fondato sulla disponibilità di risorse finanziarie incompatibili con la sua apparente situazione reddituale e movimentate su conti esteri tramite società con sede in paradisi fiscali. E che di conseguenza, il pericolo di reiterazione del reato avrebbe giustificato la misura dell’obbligo di dimora. Proprio su questo aspetto indirizza la lente la Corte di Cassazione, che ravvisa, invece, la «mancanza di motivazione in merito alla permanenza del pericolo di reiterazione criminosa, fatta discendere dalla sola gravità dei fatti contestati e alla assoluta inidoneità della misura in corso di esecuzione ad incidere sulle ritenute esigenze cautelari». Ciò perché «tutti i fatti addebitati sarebbero stati commessi a Messina» e la misura avrebbe come unico effetto «quello di impedire al Genovese l’esercizio del mandato parlamentare».
La Suprema Corte, inoltre, prende atto che la difesa ha prodotto ordinanza del Tribunale di Messina che revocava «ogni misura cautelare ad altra imputata del medesimo procedimento, per essere venuto meno il pericolo di recidiva».
Secondo la Corte di Cassazione, poi, dal momento che il pericolo di commettere altri delitti deve essere non solo concreto ma anche attuale, l’ordinanza relativa all’obbligo di dimora non si conforma ai due principi, ma «si attesta su una formula generica».
E si osserva pure che «il Tribunale non motiva sull’adeguatezza dell’obbligo di dimora nel Comune di Messina», pur se i reati contestati sono stati commessi nella stessa area di riferimento, e «non si esprime sulla possibilità di conciliare l’obbligo di dimora con l’esercizio del mandato parlamentare».
Ecco perché «l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale del riesame di Messina».
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