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L’allarme di Lo Forte: questo attentato è molto grave

L’allarme di Lo Forte: questo attentato è molto grave

Procuratore Guido Lo Forte, mercoledì c’è stato un gravissimo agguato al presidente del Pardo dei Nebrodi Giuseppe Antoci, un attentato programmato per uccidere la vittima, basta fare riferimento alle due molotov per capirlo. Un attentato che ha fatto innalzare il livello della consapevolezza mafiosa nel nostro intero Paese, rispetto al nostro territorio...

«Diciamo che l’attentato di ieri è un fatto molto grave, molto preoccupante, può sembrare sorprendente soltanto a chi non aveva, o non ha, una consapevolezza concreta del fenomeno mafioso e del suo radicamento nella provincia di Messina e delle sue evoluzioni. Purtroppo non ha sorpreso questo ufficio poiché da tempo, da più di un anno, in base a un’analisi ricavata da un contesto globale di investigazioni sul territorio, era facile prevedere che dopo un decennio di incontrastata egemonia esercitata dalla mafia barcellonese, essendosi incrinata tale egemonia non soltanto dal punto di vista quantitativo ma anche e soprattutto qualitativo, basti pensare che tutti i cervelli dell’organizzazione barcellonese sono infatti al “41 bis”, dicevo era facile prevedere che le altre mafie radicate sul territorio, per prima la mafia nebroidea, che aveva subito per tanti anni dei limiti e dei condizionamenti, si proponesse per una riorganizzazione e un progetto di riemersione e riespansione. Non posso dire altro sull’inchiesta in corso, ma sicuramente ci saranno presto degli sviluppi».

Quindi lo scenario è mutato?

«Noi sappiamo che, praticamente, proprio in questi casi sono più facili da verificarsi le azioni estreme e clamorose. Proprio quando un’organizzazione mafiosa, ha in progetto di riespandersi, di riacquisire un suo ruolo che aveva avuto nel passato. Quindi nulla di sorprendente. Da diverso tempo stiamo seguendo tutta una serie di investigazioni approfondite che riguardano proprio questo territorio, affidate a secondo dei vari aspetti a vari organi di polizia. Distinguendo gli aspetti strutturali riguardanti essenzialmente l’organizzazione delle mafie e delle famiglie, dagli aspetti sovrastrutturali che riguardano invece le attività economiche e illegali, di volta in volta realizzate in relazione alle occasioni fornite dal territorio».

Ecco, proprio per quanto riguarda i guadagni e la composizione della geografia mafiosa...

«Diciamo che c’è una terza mafia, nella provincia di Messina, che strutturalmente dopo la mafia barcellonese e la mafia messinese, ecco, una terza mafia, quella nebroidea, che forse è storicamente la più antica, e che sta rialzando la testa».

Si è parlato, nella spiegazione più immediata dell’agguato, della cosiddetta “mafia dei pascoli” nella sua nuova accezione, quella dei contributi comunitari per milioni di euro...

«Naturalmente la definizione “mafia dei pascoli” è storicamente corretta ma da alcuni anni è anche fuorviante, perché è vero che, come dicevo poc’anzi, la mafia nebroidea è storicamente una delle più antiche, già radicata negli anni Venti e negli anni Trenta. È una mafia che indubbiamente a quell’epoca nasce e si sviluppa, la cui attività principale consiste nel controllo della principale risorsa economica allora esistente sul territorio, che era appunto quella della pastorizia. Per questo è stata allora correttamente definita “mafia dei pascoli”. Usare questa espressione oggi è ingannevole, perché evidentemente ciascuna mafia di volta in volta esercitando per sua essenza un controllo del territorio sfrutta tutte le possibilità economiche che le si presentano. Quindi così come in passato aveva partecipato allo sfruttamento delle occasioni fornite dalla realizzazione dell’autostrada Palermo-Messina, oggi sfrutta questo nuovo business costituito dai contributi comunitari. Quindi qui i pascoli non c’entrano più niente. Ecco perché dico storicamente esatta e oggi fuorviante, perché la principale attività non consiste affatto nella divisione dei pascoli, anche se c’è sempre, ma voglio dire la principale attività. Ed è proprio questa attività che è stata intercettata dal presidente Antoci e da quei sindaci che hanno collaborato con lui. Ed è un classico esempio di come in una terra come la Sicilia, e mi limito a parlare di questa terra, il semplice uso corretto e scrupoloso degli strumenti amministrativi previsti dalla legge diventa addirittura rivoluzionario».

La lettura dell’attentato al presidente Antoci qual è?

«Qualunque organizzazione mafiosa commisura le sue azioni alla tutela dei propri interessi concreti. Quindi non c’è dubbio che fra le motivazioni di base e immediate, ci sia quella di presumere di interrompere o di condizionare un processo di corretta amministrazione che ha determinato notevoli “danni” per le organizzazioni mafiose. In tutto questo, naturalmente, la scelta delle modalità più o meno gravi della reazione, in questa misura, si può spiegare meglio attraverso una lettura di contesto, che è quella che dicevo prima. Che probabilmente la mafia nebroidea dovendo riorganizzarsi e riacquisire predominanza ha deciso di agire. Ecco, in questo caso può essere letta come un messaggio intimidatorio generalizzato, fatto da un’organizzazione che non avendo avuto, per lungo tempo, il dominio incontrastato, adesso cerca di recuperare».

Storicamente ci sono due famiglie mafiose in questo territorio, i Galati Giordano e Buontempo Scavo, poi c’è il sottogruppo dei Batanesi. Per quelle che sono le vostre conoscenze attuali c’è stata un’evoluzione rispetto a questa tripartizione?

«Su questo non posso rispondere, perché questo aspetto fa parte delle indagini».

L’Italia si accorge che ci sono problemi gravissimi legati alla mafia nel Messinese solo se c’è un gesto eclatante, e questo è probabilmente il “nocciolo” della questione...

«Esattamente. Diciamo che appunto, per le caratteristiche proprie dei meccanismi di comunicazione è esattamente questo. Ci si accorge della presenza della mafia soltanto quando si verificano fatti eclatanti. Maggiore è il controllo del territorio e di tutte le occasioni economiche che fornisce, maggiore è il silenzio, nel senso che una mafia in queste condizioni non ha affatto interesse ad attrarre l’attenzione su di sé. Quindi, come spesso si è detto, bisogna preoccuparsi di più del silenzio. Quando si verificano gesti di questo tipo sono normalmente connessi ad evoluzioni di organizzazioni che intendono ricrescere o espandersi. Quindi più un’organizzazione è potente e ramificata e dotata di collusioni, meno ha bisogno di gesti clamorosi. Laddove un’organizzazione invece deve riaffermarsi pienamente su un territorio, invece può evidentemente calcolare come utile un’azione clamorosa».

L’evoluzione della mafia dei Nebrodi in realtà la conosciamo fino in fondo, oppure l’evoluzione della mafia barcellonese è stata predominante negli ultimi anni?

«Nell’ultimo decennio tutta la provincia di Messina, da Villafranca fino al confine con la provincia di Palermo, era sottoposta a un controllo della mafia barcellonese. Formalmente rimanevano in vita le altre mafie tradizionali, ciascuna competente per il suo territorio, ma la politica criminale generale la facevano i barcellonesi, perché dipendeva da un rapporto di forza. Per questo l’azione di contrasto si è particolarmente incentrata su questa organizzazione. Indebolendosi questa organizzazione, evidentemente, ci sono dei fenomeni di tendenziale riemersione. Era stato previsto, tant’è vero che da tempo sono in corso come dicevo delle indagini abbastanza estese e variegate, che riguardano anche questo territorio».

Un suo messaggio al presidente del Parco Giuseppe Antoci...

«Quello che ho già detto, peraltro personalmente, al presidente Antoci, cioé che questa terra ha bisogno di uomini come lui».

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