Sono quasi sempre i fatti di cronaca a “parlare” nelle dinamiche della società aperta. Da soli. Non hanno bisogno d’altro. Basta saperli “leggere”. E in sequenza. Hanno una eclatante valenza dimostrativa.
L’operazione “Matassa” che temporalmente arriva dopo qualche settimana di distanza dalla polemica sul “tanfo” della mafia percepito a Messina dall’olfatto soprendentemente chiaroveggente dell’assessore Eller, annusatore distaccato dei fatti messinesi, ha proprio questa valenza.
Ed è la “prova” di una tesi, in questo caso supportata da elementi “processuali”, esattamente opposta alla valanga di proliferazioni verbali dei pontificatori del nulla che sono seguite alle Eller-esternazioni olfattive.
Per gli addetti ai lavori ovviamente non c’era affatto bisogno dell’operazione antimafia Matassa per certificare la solida, concreta, attuale, e in passato fortemente sottovalutata, presenza della mafia a Messina. Le cui dinamiche sono profondamente diverse, e molto più complicate da percepire e combattere, delle “classiche” presenze criminali lungo la zona tirrenica di Cosa nostra barcellonese e di tutte le sue propaggini.
La presenza della mafia a Messina è storicamente legata - in questo caso parlano i processi e le indagini -, alle cointeressenze con tutta un’altra serie di mondi trasversali, per esempio le logge massoniche coperte e deviate, i centri di potere occulto, i commerci internazionali di armi, il vicino universo ’ndranghetista. Disconoscere questo, e pontificare a vanvera sul dopo-Eller, significa disconoscere la storia di questa città.