Il nome che hanno scelto di dare alla loro “creazione” rievoca la natura incontaminata, “selvaggia”, dei monti Peloritani. D’altra parte, la territorialità era proprio uno dei requisiti che dovevano contraddistinguere le ricette da proporre al Vegan Chef Contest, il concorso nazionale per gli istituti alberghieri ed enogastronomici promosso dalla Lega anti vivisezione e che ha visto affermarsi, tra 24 scuole, proprio gli “ambasciatori del gusto” dell’Antonello con “Wild”. Tutto grazie a un raviolone ripieno di ricotta di soia ed erbe selvatiche dei Peloritani. La ricetta degli studenti della 2 L, coordinati dal prof. Giuseppe Pagano, è stata scelta tra le 35 proposte al 100% vegetali dalla commissione formata dai giudici Lav e dallo chef Martino Beria. Ieri, per i ragazzi è stato il momento di godersi il prestigioso premio, ovvero una lezione di approfondimento sulla cucina vegana tenuta proprio dallo chef Beria. «I clienti vegetariani e vegani – ha spiegato Giacomo Bottinelli, responsabile del settore educazione della Lav – aumentano sempre più e il mercato si adegua. Questo concorso è nato per stimolare i futuri operatori del settore enogastronomico, offrendo loro un’occasione per sperimentare la cucina totalmente vegetale». A colpire positivamente lo chef, l’acutezza estetica, il bilanciamento ingredienti e l’innovazione della presentazione della ricetta. Ed il legame con il territorio e la tradizione. Proprio questo abbiamo chiesto allo chef: la scelta vegana può mettere a rischio la sopravvivenza della cultura enogastronomica di un popolo? «Si perdono quei simboli della tradizione – ha spiegato Beria – che sono al contempo simboli di sofferenza». Ad oggi in Italia l’1% della popolazione è vegana, mentre il totale dei vegetariani e vegani ha raggiunto l’8%. Una scelta, il rifiuto di consumare prodotti animali, “etica” e che «va ben oltre la moda. La società è ormai pronta a prendere coscienza dei diritti degli animali e dei doveri che abbiamo verso di loro come verso l’ambiente. L’uomo non è esclusivamente carnivoro ma ora ha un’alternativa, e il cibo, prima ancora che approccio nutrizionale, è cultura».