Noi Paperino, tutti gli altri Paperoga. O è una città “sfigata” la nostra o c’è davvero qualcosa che non va. Molto più d’un qualcosa. In alto e dal basso, a tutti i livelli. Diamo il benvenuto all’acqua che sta tornando nei nostri rubinetti – non in tutti, perché non c’è una giustizia neppure su questo fronte – come fosse il ritorno di un vecchio amico di cui ogni volta non abbiamo più notizie. Va e viene, si nasconde e riappare, seguendo le sue logiche anarchiche.
Per uno, due o tre giorni abbiamo rivissuto l’incubo di ottobre. E non è solo questo l’orrendo deja vu del messinese. Risvegliarsi tra i rifiuti che invadono le strade di tanti quartieri e villaggi è una costante che, unita alla carenza idrica, diventa una miscela esplosiva. E chi è venuto a trovarci in autunno, e adesso torna in primavera, ci guarda con l’aria stupita di chi arriva davvero da un altro pianeta: «Ma siete ancora senz’acqua? Ma siete ancora con la munnizza per strada?».
E cosa gli raccontiamo? No, guarda, torna un’altra volta, sarai più fortunato. In realtà, dovremmo dirgli che non ci sono più pasti nelle mense scolastiche, che hanno pagato l’ultimo stipendio ai dipendenti di MessinAmbiente ma il prossimo non si sa perché non ci sono più soldi, e così vale anche per i lavoratori delle cooperative sociali e per tutti gli impiegati comunali. E dovremmo raccontargli che questa è la città “scartata” da tutti, dove non si ferma un presidente della Repubblica o un presidente del Consiglio dei ministri da tempo immemore (nello stesso arco di tempo non si contano le visite effettuate nelle vicine Reggio e Catania...).
Ma torniamo all’acqua, il bene primario. Entro domani i disagi dovrebbero essere definitivamente risolti, ma il definitivo non esiste nella città di Paperino. Il continuo botta e risposta tra i vertici dell’Amam e la struttura commissariale della Protezione civile regionale non serve a rassicurarci. Quando il presidente dell’Azienda acque Leonardo Termini definisce il tratto di Forza d’Agrò «una bomba a orologeria» non fa altro che inquietarci ancor di più. Il messaggio è chiaro: settanta chilometri di rete sono troppi per poter intervenire su ogni fronte, tira la coperta e c’è sempre un lato che si scopre, e dunque dovremo convivere con gli incubi che tornano e che confondono l’autunno con la primavera, l’estate con l’inverno. Come se gravasse una maledizione dalla quale non sappiamo liberarci. Ma la tragedia è anche farsa, assomiglia alla nuvola di Fantozzi. Siamo o no la città di Paperino?