Se era un omicidio di mafia qualcuno avrebbe dovuto chiedere il “permesso” al capo attualmente riconosciuto del clan di Camaro, che in effetti l’altra sera i carabinieri hanno prelevato e portato in caserma per farsi la tradizionale “chiacchierata investigativa”, insomma per vedere che aria tirava e se lui in persona sapeva qualcosa.
Un ragazzo a vent’anni ferito a morte sabato scorso a Camaro San Paolo, ma ancora si capisce poco o niente: incertezza perfino sul luogo dove il semplice “chiarimento” sarebbe degenerato, visto che il silenzio delle gente che ha assistito a pochi passi e rimane completamente muta fregandosene di una eventuale accusa di favoreggiamento, è l’unica costante di un quartiere-crocifisso e di una bruttissima storia.
L’anatomia di un omicidio ancora inspiegabile rimane quindi ancora sospesa tra poche novità e probabili sviluppi. E la novità di ieri è comunque di un certo rilievo. Ma non sembra, almeno per il momento, definitiva.
Ci sono adesso due indagati per l’omicidio di Giuseppe De Francesco, il ventenne ucciso sabato scorso a Camaro San Paolo. La svolta alle indagini condotte dai carabinieri e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia, è arrivata dopo giorni di accertamenti, controlli e interrogatori incessanti. Alla fine la decisione di iscrivere nel registro degli indagati due persone da parte dei sostituti della Dda Fabrizio Monaco, Maria Pellegrino e Liliana Todaro.
Si tratta di A.P., 46 anni, e del figlio 26enne. In ogni caso nei loro confronti non è stata emessa allo stato alcuna misura custodiale; gli accertamenti investigativi e l’esame stub, d’altra parte, non sono stati completati. Nei loro confronti ci sarebbero solo una serie di indizi legati a fatti pregressi, cioè a una situazione precedente di aspra “conflittualità” tra giovani, e non quindi una concatenazione tradizionale di prove. Il padre sarebbe intervenuto a difesa del figlio.
Intanto ieri mattina a Palazzo di giustizia è stata disposta l’autopsia sul corpo del giovane: l’incarico è stato affidato al medico legale Fabrizio Perri, l’esame sarà eseguito questa mattina. L’autopsia diventa quindi uno snodo investigativo fondamentale che potrebbe contribuire a chiarire finalmente la dinamica della sparatoria avvenuta a Camaro San Paolo. Ad esempio per confermare o no l’ipotesi che nelle intenzioni di chi ha sparato c’era “solamente” una gambizzazione. Forse c’è stata una violenta reazione della vittima e poi sarebbe partito il secondo colpo, che è risultato fatale. Una ricostruzione che ancora deve comunque trovare una conferma ufficiale.
De Francesco è stato raggiunto da due proiettili che lo hanno colpito alla gamba e alla schiena, all’altezza dell’anca; qualcuno lo ha quindi trasportato al pronto soccorso dell’ospedale Piemonte in condizioni gravissime, e lì, dopo disperati vani tentativi dei medici della Rianimazione, è morto, poco dopo il suo arrivo.
Ma cosa hanno a che fare padre e figlio, indagati con questa storia?
I carabinieri a quanto pare hanno in mano una serie di circostanze emerse da una frenetica e incessante attività di verbalizzazione nelle ultime 72 ore, da cui sarebbe venuto fuori un fatto preciso: ci sarebbe stata una violenta lite precedente tra De Francesco e il 26enne ora indagato, o probabilmente una sorta di spedizione punitiva organizzata da De Francesco nei confronti del giovane, e successivamente una pesante minaccia di morte – sempre nei confronti del giovane – pronunciata da De Francesco la mattina dell’omicidio anche al padre.
Ma bastano questi fatti, basta questa ipotesi di “movente”, per accusare due persone di omicidio premeditato?
Ci vuole altro: o qualche “riscontro oggettivo” legato per esempio all’esame stub, oppure qualche testimonianza diretta dei fatti, magari di chi ha accompagnato Giuseppe De Francesco al pronto soccorso dell’ospedale Piemonte su un motorino divenuto introvabile, e che poi si è sapientemente eclissato. I primi a essere consapevoli della necessità di trovare altri “tasselli” sono magistrati e investigatori, visto che nei confronti dei due indagati c’è ancora poco. Il 46enne indagato ha un passato nel clan che fu di Luigi Sparacio, da ultimo è stato indagato e condannato nel procedimento “Peloritana 3”. Ma questa sua appartenenza di vecchia data al clan mafioso della “zona Centro” può non voler dire nulla.