L’oggettiva «irreversibilità della crisi». La Corte dei Conti si veste da boia e cala la mannaia sulle speranze di salvare il Comune dal baratro finanziario in cui sembra essere sprofondato, e non certo da oggi, visto che le cause strutturali risalgono quanto meno all’ultimo decennio. Scrivere la parola “irreversibilità”, nella relazione del magistrato istruttore sul conto consuntivo relativo all’anno 2014, significa decretare che la crisi è a un punto di non ritorno. Ciò lascia prefigurare un unico finale: la dichiarazione di dissesto. Ma se questo fosse davvero l’esito conclusivo del tormentato percorso di questi quasi tre anni, allora ci sarebbero da trarre conseguenze altrettanto “irreversibili”: l’assunzione di responsabilità da parte dell’amministrazione comunale, le dimissioni di sindaco, assessori e consiglieri, e l’inevitabile attesa dell’ennesimo commissario spedito da Palermo. E qui, oltre al danno, si aggiunge anche la beffa: la Regione siciliana, simbolo degli enti indebitati fino al collo, che invia commissari, come se il lupo di Cappuccetto Rosso proponesse di fare da badante alla vecchia nonna nella casetta spersa nel bosco.
Oggi il sindaco Accorinti, il vicesindaco Signorino e il resto della giunta si presenteranno davanti ai giornalisti per una conferenza stampa, convocata alle 10,30 al Comune, durante la quale faranno il punto sugli atti adottati nella seduta di giovedì sera, tra i quali il bilancio di previsione 2015 e le delibere riguardanti le aziende partecipate. È evidente che l’argomento principale verterà sulla durissima relazione del giudice Gioacchino Alessandro. La magistratura contabile ha una visuale ben diversa da quella di chi governa un Comune, la sua analisi si basa su numeri e cifre, a volte non tenendo conto della complessiva drammaticità della situazione economico-finanziaria dell’intero Paese, della drastica riduzione dei trasferimenti che prima arrivavano copiosi dallo Stato e dalle Regioni e che ora sono ormai ridotti al lumicini. A volte si ha l’impressione che proprio lo Stato e la Regione, patrigno e matrigna, godano delle difficoltà dei “figli”, gli enti locali che devono far quadrare i conti senza risorse e che, nello stesso tempo, fungono da parafulmine per qualunque richiesta, istanza, esigenza, protesta, denuncia, espresse dalla cittadinanza.
Considerazioni che ovviamente non giustificano gli eclatanti squilibri finanziari, prodotti da gestioni che, nell’arco dei decenni, tra sindaci di vari colori politici (ci sono tutte le forze politiche dentro, in questo “calderone”, nessuno può tirarsi fuori, perché Palazzo Zanca è stato amministrato, negli ultimi 10-12 anni da giunte di Centrosinistra, quella di Francantonio Genovese, o di Centrodestra, quella di Peppino Buzzanca, per arrivare a quella “arcobaleno” di Accorinti-Signorino) e commissari catapultati dalla capotale del Regno di Sicilia come nuovi improbabili “vicerè”.
Il nodo principale che va sciolto attiene alla sostenibilità o meno del Piano di riequilibrio economico-finanziario concepito, in varie battute, dall’amministrazione comunale e sul quale, purtroppo, ancora non esiste un pronunciamento netto da parte degli organi competenti. Se tale giudizio, dalla Commissione speciale del ministero dell’Interno, fosse arrivato molto prima, forse avremmo evitato lunghi mesi di ulteriore agonia. Poiché siamo in Italia tutto rimane “aleatorio” e così su Palazzo Zanca continua a pendere una pesantissima spada di Damocle. Che, poi, il bilancio di previsione 2015 andava approvato il 31 marzo, ma dell’anno scorso non del 2016 (!”), lo sanno ormai tutti, ogni pietra e ogni muro di piazza Unione europea.
Il vicesindaco Signorino mantiene la calma: «Risponderemo punto per punto ai rilievi della Corte dei Conti», si limita a rispondere. L’amministrazione ritiene di avere le carte in regola, molte se non tutte, e di aver compiuto fin qui un percorso difficile, su un terreno minato, che però ha già portato, secondo la giunta Accorinti, a un profondo e radicale cambiamento rispetto al passato, soprattutto sul versante della chiarificazione e della riduzione delle situazioni debitorie ereditate dal passato. E mentre su Palazzo Zanca tornano ad aggirarsi i fantasmi del “default”, Signorino ribadisce quello che ha ripetuto come un mantra in questi anni: «Il dissesto non è un buon affare per nessuno, né per noi né per la città. Avremmo potuto dichiararlo all’inizio, lavandoci le mani come Pilato e lasciando che le responsabilità fossero addossate su chi ci aveva preceduto, ma abbiamo voluto difendere la città e non far ricadere le conseguenze negative della dichiarazione di dissesto sui cittadini, sugli utenti dei servizi, sulle imprese, sui lavoratori». Oltretutto, in nessuno dei Comuni dichiarati “falliti”, la proclamazione del dissesto è servita a risolvere i problemi economico-finanziari.
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