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L’ultima chance. Messina,
se ci sei batti un colpo

Ad Augusta la sede, a Messina un contentino

Tutto rinviato al 31 marzo. Il futuro della riforma della portualità italiana permane avvolto da pesanti nubi di incertezza e il tavolo istituzionale – la Conferenza Stato-Regioni –, convocato per giovedì prossimo, avrà le sue belle gatte da pelare. Anche il destino di Messina resta ovviamente congelato in un freezer, in uno stato di sospensione che non si sa bene come interpretare. Mentre altre realtà locali e regionali si sono mosse con forza, e come è stato detto anche con arroganza, sull’accorpamento Messina-Gioia Tauro, sulle minacce di ricorsi da parte del presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta, sulla battaglia a difesa dell’autonomia dell’Autorità portuale dello Stretto, è quasi del tutto calato il silenzio.

L’obiettivo del governo Renzi è chiaro: arrivare all’approvazione della riforma (inserita, in modo alquanto anomalo, nei decreti attuativi della riforma della pubblica amministrazione a firma del ministro Madia) nel modo in cui essa è stata concepita dal ministro Graziano Delrio. Ma le pressioni delle Regioni Liguria e Campania (alle quali si sono aggiunti anche Piemonte, Lombardia e Veneto), dei politici e degli amministratori di città molto più piccole di Messina, ma evidentemente molto più “influenti”, come Savona e Salerno, rischiano di stravolgere l’impianto complessivo. A quel punto sarebbe davvero assurdo vedere Messina perdere la propria Authority in favore del porto “core” di Gioia Tauro e realtà come quella savonese o salernitana mantenerne la sede, il prestigio e le funzioni.

Il dato certo è che il Governo, al momento, ha respinto tutti gli emendamenti presentati dalle Regioni, tra i quali la proposta di rinviare di 3 anni l’accorpamento delle Autorità portuali di Genova e Savona e di Napoli e Salerno. Ma la discussione in corso, tra Renzi e i suoi ministri da un lato, e i governatori regionali dall’altro, non verte sui contenuti della riforma, sul fatto che essa rischia di penalizzare ulteriormente i sistemi portuali meridionali, sul mancato riconoscimento del ruolo strategico dello Stretto di Messina, al contrario è esclusivamente incentrata sull’assegnazione delle poltrone. I futuri presidenti delle Autorità di sistema portuale avranno un potere di gran lunga superiore a quello degli attuali presidenti di Authority, potranno interloquire direttamente con il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, saranno anzi la “longa manus” del Ministero, dirigendo di fatto da padroni assoluti le vicende riguardanti i porti e anche le aree a essi collegati. Quante poltrone vanno assegnate al Centrosinistra: 11, 12 o 13 come vuole il Pd renziano? E al Centrodestra: quattro, tre o due soltanto (ma con la “consolazione” di avere una delle Autorità di sistema più forti quale quella di Genova)? Si può immiserire tutto così? Certo che si può, in Italia lo si è sempre fatto, avrebbe del miracoloso se accadesse il contrario.

Chi dovrebbe difendere Messina dove è rintanato? Se c’è, batta un colpo, a cominciare dal presidente Crocetta, colui che si siederà al tavolo della Conferenza Stato-Regioni. Già sono state consumate operazioni che hanno minato alle basi l’equilibrio dell’intera impalcatura della riforma: basta ricordare il caso pugliese, conclusosi con un “salomonico” pareggio, accontentando dunque sia Bari sia Taranto, che manterranno le loro Autorità portuali. Si dice: ma la Sicilia non può avere tre Authority e, dunque, Messina deve andare necessariamente con Gioia Tauro, una volta cancellata l’ipotesi dell’accorpamento con Augusta e Catania. Ma Messina non è solo Sicilia: Messina è la terza città dell’Isola, è vero, però è anche la capitale dello Stretto che unisce due regioni e i porti di Messina-Milazzo, Reggio Calabria-Villa San Giovanni. È il riconoscimento di un ruolo, non la concessione di un favore né tanto meno una battaglia di retroguardia. Vogliamo farlo capire a Roma e a Palermo?

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