La mafia barcellonese avrebbe pagato magistrati per “aggiustare” alcuni processi, e sarebbe riuscita ad arrivare a corrompere perfino un giudice in Cassazione.
Ci sono nuove, e devastanti, dichiarazioni del pentito barcellonese Carmelo D’Amico, ex capo dell’ala militare di Cosa nostra tirrenica, che non più tardi di due giorni addietro aveva parlato di un progetto della “famiglia” di eliminare un avvocato.
Queste inedite e sconvolgenti dichiarazioni-shock, che ovviamente sono da provare e attualmente al vaglio della Dda di Messina, hanno già generato la trasmissione di atti alla Procura di Reggio Calabria per competenza incrociata ex art. 11 c.p.p., perché si tratta di accuse a magistrati.
E non provengono da un verbale secretato ma dall’ennesima lunga deposizione del pentito in un’aula di giustizia. In questo caso si tratta del processo a carico di Enrico Fumia, assistito dall’avvocato Tino Celi, per l’omicidio di Antonino “Ninì” Rottino, avvenuto nella calda estate del 2006, che fu uno spartiacque eclatante per l’ascesa al vertice del gruppo mafioso dei Mazzarroti del boss Tindaro Calabrese.
Un processo che si sta svolgendo davanti alla Corte d’assise di Messina presieduta dal giudice Nunzio Trovato, e che ha registrato all’ultima udienza una serie di domande al pentito da parte del sostituto procuratore Francesco Massara, applicato alla Dda per questo processo e anche per altre vicende legate ai fatti della mafia barcellonese. Nel corso della deposizione, il pm Massara ha posto a D’Amico una serie di domande, partendo ovviamente dalla necessità di inquadrare la sua storia personale per farla conoscere alla corte, che processualmente apprendeva per la prima volta una serie di circostanze sul pentito.
E sono così emersi retroscena inquietanti, molto inquietanti, su cosa in passato il boss D’Amico e l’organizzazione mafiosa barcellonese sarebbero riusciti a fare in tema di “aggiustamento” dei processi, che riguardavano capi e gregari. Ecco i passaggi fondamentali di una deposizione che sarà senz’altro al centro di indagini nei prossimi mesi, e rischia di provocare un vero e proprio tsunami giudiziario.
«La nostra organizzazione ha aggiustato diversi processi...»
«Guardi io ho deciso di collaborare con la giustizia, perché sono stato sempre chiuso al 41 bis, da quando mi hanno arrestato dal 2009. Il 41 bis mi ha fatto riflettere tantissimo stando da solo, anche perché il 41 bis è un carcere duro, e niente ho deciso di cambiare vita, anche se avevo la possibilità può darsi, di uscire dal carcere, perché io ho esperienza nei processi perché abbiamo aggiustato... la nostra organizzazione ha aggiustato diversi processi, abbiamo corrotto qualche giudizio di cui ne ho parlato, abbiamo corrotto qualche pubblico ministero, qualche procuratore generale, e abbiamo aggiustato qualche processo molto importante e quindi c’era la possibilità che io sarei potuto uscire dal carcere...».
Il processo per il triplice omicidio Geraci-Raimondo-Martino
Poi successivamente D’Amico, sempre rispondendo al pm Massara, specifica meglio di quale processo si tratti, quello per il triplice omicidio Geraci-Raimondo-Martino commesso dal gruppo D’Amico la notte del 4 settembre del 1993 alla stazione di Barcellona, quando ad essere uccisi furono tre ragazzi, tre giovani di Milazzo che ebbero solo la “colpa” di oltrepassare il confine per commettere reati contro il patrimonio a Barcellona: «Poi successivamente nell’anno ’89, ’89 siccome il mio nome girava tantissimo e siccome io ero imputato per il triplice omicidio commesso nel ’93 da me Nino Calderone e da Micale Salvatore... triplice omicidio di Ceraci Raimondo e Martino, commesso alla vecchia stazione di Barcellona, vicino al manicomio, praticamente avevo questo processo in corso e praticamente non potevo rischiare di farmi arrestare perché era un processo che praticamente ero sicuro che prendevo l’ergastolo, infatti questo processo poi è stato sistemato... lo abbiamo sistemato tramite un procuratore generale, tramite il pubblico ministero che praticamente erano corrotti e lo abbiamo sistemato...».
«Siamo arrivati anche in Cassazione a sistemare un processo...»
Ma c’è dell’altro sempre sul versante dei magistrati, e altrettanto devastante, in questa lunga deposizione. Ecco un altro passaggio, che prende spunto dalla domanda del pm Massara sull’operazione “Icaro” che ha riguardato anche l’ex capo dei Mazzarroti Carmelo Bisognano: «... Certamente, l’ho avvisato pure io di quell’operazione, l’ho avvisato io che c’era l’operazione in corso, perché avevamo saputo praticamente, tramite carabinieri corrotti che noi avevamo, che pagavamo sul libro paga dal ’90, carabinieri corrotti che era uno... uno apparteneva alla... alla squadra catturandi latitanti, un altro era nella Dda... nella Dda che faceva da scorta e tanti altri carabinieri e poliziotti che sono sui libri paga, che ne ho parlato purtroppo».
E subito dopo, nel parlare, D’Amico traccia un profilo ben preciso dell’organizzazione mafiosa barcellonese, pronunciando altre accuse pesantissime: «... La nostra associazione era molto ramificata a livello politico, a livello istituzionale, era una delle più potenti che c’era in Sicilia diciamo la cosca barcellonese e anche molto sanguinaria. Noi abbiamo fatto... siamo arrivati anche in Cassazione a sistemare un processo... un processo molto noto, abbiamo corrotto un giudice di Cassazione, che sono andato personalmente io inseme a Pietro Mazzagatti Nicola, e abbiamo corrotto questo giudice nativo, di Santa Lucia... le dico questo, nativo di Santa Lucia del Mela e che risiede a Roma, abbiamo... comunque per questo le dico che io ero sicuro di uscire, perché sapevo che avevamo anche l’appoggio in Cassazione di questo giudice corrotto che era in Cassazione...».
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