Un campione di sfrontata leggerezza e di ipocrisia, non solo un incallito sciupafemmine, capace di sedurre e incantare tutti non soltanto con il bell'aspetto che lo contraddistingue ma anche con le parole: è questo il Don Giovanni di Alessandro Preziosi, in scena fino a domenica al “Vittorio Emanuele”.
E la menzogna è un'arma che il personaggio - creato nella prima metà del Seicento da Tirso de Molina - usa per difendersi, per sviare costantemente gli altri, per nascondere (dietro un'insensibilità di facciata, che è troppo brutta per essere vera) la propria personalità, in fondo fragile, minata da una noia e da un vuoto esistenziale che non accennano a placarsi. Fino alla morte.
E' un personaggio complesso e tormentato, questo raccontatoci da Moliére e impersonato da Preziosi, che della raffinata e convincente piéce è anche il regista: traduzione e adattamento dal francese sono di Tommaso Mattei.
Notevole ci è sembrato il contributo di Fabienlliou e di Marta Crisolini Malatesta, cui si devono le scene e i costumi di rara eleganza e con esiti di indubbio effetto, grazie alle sapienti luci disegnate da Valerio Tiberi.
Non solo funzionali le musiche di Andrea Farri, che utilizza opportunamente - e come non potrebbe - anche alcune pagine del capolavoro che Mozart compose su libretto di Da Ponte.
Suggestiva l'idea della cornice dorata entro cui si muovono i diversi personaggi, in una dimensione patentemente onirica: esaltata, tra l'altro, da intelligenti e ben dosate proiezioni video e coreografie post-moderne (realizzate dagli interpreti) che conferiscono alla messinscena, raffinatamente in costume, il sapore (tecnologico e sofisticato, se volete) dei nostri giorni.
Si muove con buona padronanza e disinvoltura nel personaggio, Preziosi, ben coadiuvato da uno Sganarello da applausi, quale quello interpretato dal simpatico Nando Paone; non solo puntuali, accanto a loro, Lucrezia Guidone, Matteo Guma, Barbara Giordano, Daniele Paoloni, e Roberto Manzi.