Messina

Venerdì 22 Novembre 2024

Amam e lo "spezzatino"
degli appalti

amam

Se fosse strategia politica i verbi sarebbero “dividi et impera”. Una logica che sembra ispirare l’Amam, la società con corpo pubblico (le quote sono del Comune) e mente privata. Nella gestione degli appalti, infatti, lo “spezzatino” appare come una regola inflessibile. Il pubblico incanto è una goccia in un mare di cottimi fiduciari, affidamenti diretti e somme urgenze. Milioni di euro investiti negli ultimi anni per assegnare i servizi secondo criteri sbrigativi che garantiscono tempi rapidi, spesso in linea con le esigenze di un’azienda che deve tamponare falle e aprire rubinetti. Ma se la procedura negoziata diventa quasi l’unico congegno per polverizzare gli appalti, allora il “sistema” può generare legittimi interrogativi. D’altronde gli uffici dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) sono invasi da fascicoli di enti pubblici che scartano la gara pubblica come criterio per l’assegnazione dei lavori alle imprese. E in questo caso l’interrogativo è un sospetto che mette in moto indagini, come quelle che hanno sviscerato un vizio incarnato di “Roma Capitale”. Raffaele Cantone, presidente dell’Anac, ha disposto un monitoraggio sui comuni italiani, facendo emergere un diffuso frazionamento degli appalti, livellati sotto la soglia dei 200.000 euro per evitare il pubblico incanto. In questo solco l’Amam ha plasmato il suo modus operandi, probabilmente riscontrando quei presupposti rigorosi invocati da Cantone non solo per lavori di pronto intervento, ma anche - per esempio - per il settore delle manutenzioni ordinarie di reti idriche e fognarie, dove la pianificazione del servizio sarebbe più compatibile con un pubblico incanto. Un po’ come l’Abc di Napoli, gemella della messinese Amam, finita sotto il cono d’ombra dell’Autorità anticorruzione che appena qualche mese fa ha notificato al Comune partenopeo l’apertura di un’inchiesta: «La frammentazione degli appalti senza bando di gara – scrive Cantone – sembrerebbero far emergere una carente individuazione dei fabbisogni di beni e servizi, l’assenza di compiuta definizione delle strategie di approvvigionamento».

I lati deboli degli appalti chiavi in mano, senza il filtro della gara pubblica, sono fin troppo scoperti: concorrenza ristretta, più possibilità per le imprese di fare “cartello”, ribassi molto contenuti (nel caso dei cottimi fiduciari) o del tutto inesistenti, come nell’ambito degli affidamenti diretti, con potenziali risparmi che vanno in fumo. Senza considerare la dispersione del patrimonio di conoscenze, suddiviso in una costellazione di imprese che si spartiscono il territorio.

Ma la gestione dell’Amam fa acqua anche su altri fronti, come rilevato dal collegio sindacale della stessa azienda: costi del personale, consulenze legale, incarichi. D’altronde la società è nata come un feudo politico, camera di lottizzazione per i partiti, alla stregua delle altre “consorelle” (Atm, MessinAmbiente) avvinghiate alla casa madre del Comune.

Negli anni si sono alternati presidenti e consigli di amministrazione, secondo gli interessi delle maggioranze che hanno governato Palazzo Zanca. Una “mobilità” che non ha neanche sfiorato il direttore generale dell’Amam, ing. Luigi La Rosa, evidentemente considerato insostituibile per meriti sul campo. A quasi settant’anni il “dominus” dell’Amam mantiene saldamente le redini dell’azienda. Un ruolo chiave escluso dal rimpasto voluto dal sindaco Accorinti, che sei mesi fa ha rinnovato il consiglio di amministrazione, affidando la presidenza al commercialista Leonardo Termini. Nel frattempo una città senz’acqua è balzata al disonore della cronaca. All’Amam non tornano neanche i conti della fortuna.

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