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L’ex segretaria “scarica” Genovese

L’ex segretaria “scarica” Genovese

Due “confessioni” molto inattese. Che sono probabilmente la svolta nel processo sulla formazione professionale. Una la mattina, l’altra di pomeriggio. Prima Salvatore Lamacchia, che fu il suo uomo forte e “controllore” inabissato all’assessorato regionale alla Formazione. Poi Cettina Cannavò, che fu la sua segretaria onnipresente per parecchio tempo.

Al centro di tutto sempre l’on. Francantonio Genovese, l’ex segretario regionale del Pd, l’imputato eccellente al processo “Corsi d’oro 2”, ovvero il marasma della formazione professionale in Sicilia che è venuto a galla dopo l’inchiesta della Procura di Messina coordinata dall’aggiunto Sebastiano Ardita.

Anche ieri è stata una lunga udienza quella spezzata tra mattina e pomeriggio davanti alla prima sezione penale del tribunale presieduta da Silvana Grasso, che ha registrato i clamorosi colpi di scena delle due deposizioni-choc di Lamacchia e Cannavò, quando tutti pensavano che anche loro, come gli altri imputati, si sarebbero avvalsi della facoltà di non rispondere.

Ma hanno risposto, eccome, alle domande dell’aggiunto Ardita e a quelle degli avvocati in controesame, per consegnare un quadro processuale oggettivamente mutato con alcune “conferme interne” al quadro accusatorio, che provengono da due imputati. Ecco alcuni passaggi.

La storia di Lamacchia

Il primo a deporre è stato La Macchia, che tra l’altro ha ricordato la sua “partenza” nella vecchia Rete orlandiana, i suoi legami con l’antimafia e la sua visione etica della politica. Ha detto che la sua conoscenza con Genovese avvenne tramite Bartolo Cipriano, oggi sindaco di Terme Vigliatore, perché Carmelo Favazzo (è uno degli imputati, n.d.r.) voleva vendere tutto il pacchetto della Lumen, ovvero uno degli enti di formazione. Vendita che poi venne perfezionata, ma che Lamacchia perse di vista anche nei termini economici. L’ex dirigente regionale ha anche riferito sulla vendita di arredi che intervenne tra il Consorzio Noé e la Lumen, con una fattura che però risulta emessa dalla Centro Servizi srl, un “affare” da circa 60.000 euro.

Un altro suo passaggio-chiave è stato quando ha in pratica confermato per filo e per segno le dichiarazioni rese all’udienza scorsa dall’ex dirigente regionale dell’assessorato alla Formazione Ludovico Albert, il quale ha detto di essere stato chiaramente minacciato da Genovese («Dopo un mio diniego riguardante le risorse da attribuire a Trading, Genovese mi disse: “Adesso vorrà dire che ti attaccheremo a 360 gradi”»), nel corso di un incontro a Messina, cui partecipò anche Lamacchia, nella segreteria politica del parlamentare. Quando l’aggiunto Ardita gli ha ripetuto il passaggio della deposizione precedente, Lamacchia ha risposto: non ricordo le parole precise ma il senso è quello che dice lei. Anche a lui vennero mosse cioé precise accuse sul piano politico, per non essere “organico” al sistema-Genovese.

Il racconto della Cannavò

Ma la deposizione assolutamente inattesa e più “forte” è stata quella di Cettina Cannavò, che fu la segretaria del parlamentare messinese per molti anni e formalmente anche presidente, e poi tutor, della Lumen (Libera Università), l’ente di formazione acquistato dal gruppo Genovese. Ha più volte ripetuto frasi come “io mi fidavo di lui”, “mi sono sempre fidata di lui”, per poi affermare che si è resa conto di quello che spesso aveva firmato “a scatola chiusa” senza capire e sapere nulla, soltanto quella mattina del luglio 2013, quandò finì agli arresti domiciliari (“Ho capito come stavano le cose quando mi hanno arrestato”). Secondo quanto ha dichiarato, in pratica fu soltanto uno strumento nella mani del parlamentare per alcune operazioni, a fronte di uno stipendio prima di tre milioni e poi di 1.500 euro, come sua segretaria particolare. Null’altro. A un certo punto è scoppiata a piangere in quell’aula improvvisamente silenziosa, e tutti hanno compreso il suo travaglio, di come si stesse liberando di un “peso” sopportato udienza dopo udienza, ha assistito a tutte, giorno dopo giorno, dall’estate del 2013. Tecnicamente la Cannavò ha affrontato tre temi-chiave: l’origine e la natura dei rapporti con l’on. Genovese e la sua famiglia; l’acquisizione e gestione della Lumen nel periodo 2004/2006; l’amministrazione della Caleservice.

Ha affermato di essere stata indicata come presidente della Lumen da Genovese e di non avere mai avuto alcuna autonomia gestionale, né di conoscere i termini economici degli accordi tra Genovese e Carmelo Favazzo, pur avendo precisato che proprio Favazzo ha svolto consulenze per la Lumen, dopo il subentro del gruppo Genovese. Ha poi affermato di essere stata una “mera prestanome” nella Caleservice, e che la società non aveva personale per consulenze o servizi a terzi.

E rispetto alla carica rivestita - ha ancora detto la Cannavò -, non ha mai avuto contezza delle attività effettivamente svolte o meno, ma si è limitata a eseguire pagamenti su disposizione dell’on. Genovese e a tenere la contabilità, tramite costanti contatti settimanali con il commercialista Dario Zaccone. Ha poi affermato che tutte le attività che svolgeva avvenivano nella segreteria politica dove lavorava, mentre la sede della società era a casa dell’onorevole Genovese.

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I corsisti

Ieri hanno deposto in aula anche alcuni corsisti e una docente dei corsi di formazione, costituitasi parte civile nel procedimento, l’assistente sociale Clelia Marano. I corsisti (specializzazione parrucchiere) hanno per esempio affermato che dopo il primo anno di frequentazione, quando ricevettero tutto, successivamente furono loro a comperare il materiale necessario. La Marano ha rievocato l’intera sua vicenda e il clamoroso arretrato accumulato da lei e dagli altri docenti nel pagamento delle mensilità.

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