Un lavoro corale, esito di un laboratorio curato da Lo Presti che ha coinvolto Mario Aversa, Francesca Baudo, Maria Concetta Bombaci, Massimo Bonanno, Aurora Ceratti, Mariaelide Colicchia, Sergio Colajanni, Elisa Cortorillo, Roberta Costanzo, Carmelo Crisafulli, Cristina De Domenico, Antonella De Francesco, Adele Di Bella, Eugenio Enea, Antonino La Rosa, Giulia Merlino, Noemi Mirabella, Lelio Naccari, Dino Parisi, Giusyrene Pellegriti, Giuseppe Scafidi, Marco Sergi, Maria Squillaci, Danila Tropea, Letizia Veneziano.
Una produzione del Teatro di Messina, un fuori abbonamento, nell’ambito della composita stagione “Laudamo Aperta”.
Note sullo spettacolo
Il Monte di Pietà si trasformerà nel manicomio di Charenton, dove è rinchiuso il Marchese de Sade, mette in scena la persecuzione e l'assassino di Marat. Sono trascorsi quindici anni dal delitto e adesso la Francia si trova in piena restaurazione. Gli attori che il divino Marchese ha a disposizione sono i ricoverati del manicomio: ''coi mostri attori mostratevi clementi sono in quest'arte ai primi esperimenti'. L'autore utilizza questo avvenimento per contrapporre l'idea di un socialismo nascente all'individualismo più estremo. Noi pensiamo che questo testo abbia qualità, formali ed essenziali tali, da renderlo utilissimo nell'avvicinarsi all'avventura del far Teatro.
Note del regista Antonio Lo Presti
Nel 1974 ebbero inizio alla Sala Laudamo di Messina le prove di un laboratorio che portò alla messa in scena del Marat Sade di Peter Weiss. In quegli anni Messina non aveva ancora un Teatro e quella piccola sala si prestava al tentativo di non fare scomparire del tutto le rappresentazioni teatrali. Eventi per i quali necessitava uno spazio maggiore potevano usufruire del bellissimo cinema teatro Savoia (che ben presto assieme al complesso dei Gesuiti – nel centro della città – fu trasformato in moderno condominio). Per i concerti veniva utilizzata la chiesa di San Francesco, per l’opera si andava a Catania. “Non molto diverso dal suo è questo mio destino” potremmo affermare insieme ad Antigone. Il merito enorme di quell’iniziativa (resa possibile dalla Cooperativa Teatro Struttura presieduta dall’avv. Pompeo Oliva) fu di avvicinare al far teatro quaranta tra studenti medi ed universitari e, da li a pochi mesi, un numero impressionante di spettatori ad usufruirne. Il Laboratorio fu tenuto da Beppe Randazzo che a Palermo si era distinto come protagonista degli spettacoli di Michele Perriera. Della scenografia si presero cura due giovani architetti messinesi: Peppe Sidoti e Massimo Lo Curzio. Lo spettacolo debuttò il sette gennaio dell’anno successivo e rimase in scena per un mese circa. Perché riproporre dopo quarant’anni un analogo Laboratorio? Anzitutto perché, nell’attesa che anche Messina si attrezzi di una vera scuola di formazione per attori e tecnici, non è giusto rimanere con le mani in mano obbligando i giovani a scappare dalla città per mancanza di opportunità. In secondo luogo perché il testo di Weiss è per sua natura esemplare come mezzo per imparare a far teatro: il doppio ruolo che l’aspirante attore deve affrontare (essere un matto e da matto un altro personaggio) è l’essenza dell’arte della recitazione. Poi ancora la forma del testo straniata rispetto al parlare comune avvicina alla comprensione dei ritmi e dei tempi teatrali. Infine il contenuto stesso che mette in contrasto dialettico il Sociale e l’Individuale apre la mente ed insegna.
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