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La famiglia di Eleonora: «Vogliamo la verità»

 Una cappa di mistero che trafigge il cuore quanto la morte in sé della propria figlia, una nebbia dalla quale si attende un raggio di verità. Un caso di “presunto suicidio” destinato all’attenzione nazionale, una donna di trent’anni anni trovata morta in casa, a Contesse, ma il cui ricordo tracciato dai familiari dice tutt’altro. Scroscia e dilaga come un uragano di vita, di gioia di vivere. Nessuna ipotesi di “insano gesto” sembra plausibile a chi, come la sua famiglia, conosceva bene Eleonora Cubeta, trovata senza vita, alla mezzanotte del 5 settembre, nella sua casa: un cappio al collo, una collocazione del corpo particolarmente bassa, un oggetto importante sparito. Da qui prende le mosse la denuncia presentata dalla famiglia alla Procura della Repubblica: sul caso indagano i carabinieri della compagnia Messina Sud, coordinati dal sostituto procuratore Margherita Brunelli. Sullo sfondo dei giorni precedenti, secondo quanto ricostruito dai familiari, non vi era nessuna angoscia, nessuna depressione. Si susseguono, anzi, i contatti costanti con papà e mamma, in viaggio all’estero, conversazioni serene, razionali, lucide. Alle sette e un quarto di sabato 5, l’ultima di quelle telefonate tocca al fratello Gaetano che abita a Galati, le è affezionatissimo e vuole farle un po’di compagnia: «Mangiamo insieme?». Lei preferisce di no, affiora un po’ di stanchezza e null’altro. E poi tra Contesse e Galati c’è una bella distanza. Eleonora sta affrontando alcuni problemi sentimentali, ma senza alcun dramma o conflittualità, e sta maturando al contempo traguardi e progetti. Ha appena conquistato il lavoro definitivo, e questo è il suo vero successo. A giorni firmerà un secondo contratto d’assunzione, stavolta a tempo indeterminato, come educatrice alla Comunità alloggio Arzilla in cui vivono minori alle prese con problemi psichici e familiari. Si è conquistata la stima dei vertici del centro e la trasformazione del “part time” grazie al rapporto instaurato in pochi mesi con ragazzini e bambini. Rapporti così belli che adesso, saputo che Eleonora non c’è più, alcuni di loro piangono e disegnano cuori trafitti. Ma non c’è solo il lavoro. La giovane va alla ricerca di un motorino nuovo e lo fa con metodo: chiede perfino consiglio al padre sul paese europeo dove converrebbe di più comprare un determinato modello. La scia degli ultimi giorni è più o meno questa. E pare oggi impossibile per la famiglia, ravvisare a ritroso il minimo presagio. Ma torniamo alla tragica serata del 5 settembre. Sono passate alcune ore dalla telefonata e Gaetano, notando che la sorella ha il cellulare staccato, decide di passare a salutarla. Apre la porta con le chiavi di cui dispone, ed ecco la scena del presunto suicidio: sconvolto ma anche incredulo, chiama il 112. Il caso sembra doversi chiudere presto, ma non è così. L’indomani scatta la denuncia dei familiari. Nessun dubbio, per loro, nell’affermare che suicidio, conoscendo Eleonora, non può essere stato. «Sarà la magistratura a stabilirlo, e noi confidiamo nel suo lavoro», dice oggi Giuseppe Cubeta, e né lui né la moglie Fiorella intendono avanzare sospetti su nessuno, ma vogliono che sia la magistratura a stabilire la verità. «Se ci dimostreranno che si è suicidata ci rassegneremo». E ieri è stata eseguita l’autopsia, stamani alle 10 del Duomo si celebreranno i funerali. Anche Giuseppe Cubeta come la figlia perduta era un vulcano di vita, oggi è un padre distrutto. Nella sua vita c’è stata una carriera nei carabinieri fino al grado di capitano, poi la libera professione e la direzione dell’Istituto di vigilanza Sicurtrasport nel quale la stessa figlia, ha lavorato per cinque anni. Una lunga militanza, quella di Eleonora, nella vigilanza. «Organizzava il lavoro e all’occorrenza era pronta pure a sostituire il personale mancante», ricorda commosso il papà (piccolo particolare: Eleonora, in virtù di questo lavoro, aveva il porto d’armi e deteneva in casa due pistole, ndr). Riassumendo, la trentenne era una persona di rara e multiforme sensibilità: oggi assunta come educatrice di minori in difficoltà ma appena ieri capace di farsi onore in un settore arduo come la vigilanza. Se per intraprendenza e concretezza ricordava il padre, per la dedizione ai bambini e la voglia di aiutare quelli più sofferenti, era tutta figlia di sua madre Fiorella, stimata assistente sociale della Neuropsichiatria infantile dell’Asp 5. E il suo mondo andava pure oltre. Amava ogni forma di vita – ricorda la mamma – ed operava in un’associazione animalista, si appassionava alle adozioni di cani o gatti. E non li abbandonava, seguiva la sorte di ogni adottato. A parte gli animali, credeva nelle donazioni degli organi ed era iscritta all’Aido. Da poco, infine, aveva deciso di donare alcune cellule del suo midollo osseo ai bambini leucemici

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