Avviso ai nostri lettori: per la prima volta, dopo ventisei anni di professione, parlo in prima persona. Sono il Lupo Lucio, dal Fantabosco della Gazzetta del Sud. Sì, proprio io, il “D’Amico merda”, l’imbrattacarte, il servo del potere. Sono quello che, assieme ai colleghi della cronaca, d’intesa con la direzione di questo quotidiano, ha seguito per mesi le vicende del “Teatro Pinelli occupato”. Sono quello che ha cercato di raccontare e di spiegare, anche ai politici e amministratori di questa città, l’importanza dei segnali lanciati da chi, occupando il Teatro in Fiera chiuso da decenni, aveva avuto il merito di far riaccendere i riflettori sulla gestione dei beni comuni in città. Sono l’autore del commento intitolato “Stiamo dalla parte dei ragazzi del Pinelli”, sfidando tutti quei luoghi comuni per i quali la “Gazzetta” è un “foglio conservatore, reazionario, borghese, capitalista, democristiano, fascista” e chi più ne ha più ne metta. Sono il capocronista che ha disposto quasi quotidianamente servizi per raccontare quello che si faceva in quei locali occupati, gli spettacoli, le iniziative culturali e sociali. Sono il giornalista che, assieme al mio direttore, Alessandro Notarstefano, ho partecipato a un lungo confronto pubblico, sul palco semidisastrato del Teatro in Fiera, con il “soviet supremo” del Collettivo pinelliano, scambiando idee, sfidando anche le gratuite e volgari ingiurie. E sono sempre io quello che, attirandomi gli strali di molti “benpensanti”, ho difeso il murales firmato da Blu, uno dei più grandi “writers” italiani, sulla facciata della Casa del Portuale, definendolo un’opera d’arte da conservare e tutelare (ovviamente ciò non è accaduto e la barbara legge degli imbrattatori ha colpito anche quell’affresco...). Non mi pento. Anzi, sono convinto che la Gazzetta abbia fatto un lavoro straordinario, perché frutto di impegno quotidiano e soprattutto di onestà intellettuale e di assoluta buona fede. Ma non posso non ricordare oggi un episodio che la dice tutta sulla reale volontà di quella che è solo una esigua (ma pericolosa) frangia minoritaria di antagonisti “alla messinese”: dopo mesi di occupazione, qualcuno ha proposto loro di costituire un’associazione e di fare domanda per avere in concessione, in comodato d’uso, uno dei beni pubblici dismessi, abbandonati o sottoutilizzati. Non hanno voluto farlo, per una semplice ragione riassunta nella scritta che campeggia sul Palazzo della Dogana e su altri edifici cittadini: «Abusivo è chi comanda». Rispettare la libertà ma portandola nell’alveo delle regole del vivere civile è fatica sprecata per chi quelle regole rifiuta con disprezzo e arroganza. La libertà responsabile è l’approdo del processo educativo, essa limita l’arbitrio e l’impulsività irresponsabile. Post scriptum. L’ultima frase non è mia, ma di un certo Antonio Gramsci.
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