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Genovese: il carcere,
la politica, il Pd

di Nuccio Anselmo

Messina

Francantonio Genovese dal 31 luglio è di nuovo agli arresti domiciliari nella sua villa di Torre Faro dopo sei mesi e mezzo di carcere. Travolto con accuse pesanti dall’inchiesta della Procura di Messina sulla formazione professionale assieme alla sua cerchia familiare e politica, il parlamentare ha trascorso un secondo lungo periodo di detenzione dopo il primo - sette giorni nel maggio 2014 -, quando la Camera autorizzò il suo arresto. Gli abbiamo posto alcune domande tramite il suo difensore, l’avvocato Nino Favazzo.

Come ha vissuto l’esperienza del carcere?

«All’interno del carcere ci si sente limitati, nella stessa capacità difensiva. E non mi riferisco alla difesa tecnica. Per lo più, si vive nell’angoscia e nella preoccupazione, non tanto per sé stessi, ma essenzialmente per la propria famiglia. Ho letto e studiato tantissimo. Non solo, anzi a dire il vero, poco le carte processuali. Ritengo non sia necessario. Le accuse che mi sono state mosse, pur nella loro articolata ricostruzione, sono di semplice lettura. È un’esperienza forte, quella del carcere. Un mio amico giornalista in un messaggio mi ha scritto: “questa esperienza ti fortificherà”. Forse è vero, sarà il tempo a dirlo. Intanto, però, mi ha segnato profondamente. È stata una grande sofferenza. Il luogo è brutale. Anche se devo dire, con tutta onestà, che all’interno di quelle mura si respira una solidarietà umana straordinaria. E non solo tra detenuti, ma anche tra questi e l’intero complesso degli operatori, dai dirigenti agli agenti, agli educatori, ai medici, agli infermieri; tutti insieme formano, pur nel loro ruolo e con le difficoltà di gestione, una comunità che si autoprotegge».

È cambiata la sua prospettiva nel valutare l’esistenza, gli affetti, le amicizie?

«Mentre la visione della politica non cambia a seconda che la si veda da un luogo o, da un altro, quella della vita sì. Un’esperienza così forte può spazzare via le certezze di una vita intera. Ma ecco che, proprio in questi momenti, l’affetto delle persone più care e il sentimento di amicizia, quella più profonda e disinteressata, sono di aiuto e di conforto. Quando si è strappati alla propria quotidianità e ci si ritrova soli con se stessi, si riscopre il senso più profondo di quei valori, come famiglia ed amicizia, spesso sacrificati sull'altare della frenesia quotidiana. Personalmente, ho ricevuto tante attestazioni di stima ed affetto e ciò mi ha aiutato tanto. Ho compreso anche il comportamento di quanti hanno preferito prendere le distanze, rinnegando palesi e duraturi rapporti. Ho provato sulla mia pelle che la salvaguardia di se stessi è uno dei più forti sentimenti dell’uomo».

Come valuta l’atteggiamento del suo partito a livello locale, regionale e nazionale, per esempio sul “doppiopesismo” rispetto al suo caso e quello di Azzollini?

«Sono convinto che la decisione sul sen. Azzollini è stata giusta. Bisogna avere libertà di coscienza per valutare se un essere umano debba essere privato o meno della libertà personale. Non me ne vogliano i miei colleghi, che stimo, ma nella decisione che mi ha riguardato non è stata “concessa” loro una analoga libertà di scelta. Nel mio caso il vincolo è stato giustificato dalle imminenti elezioni europee. Vorrei ricordare il cambio di relatore in Giunta autorizzazioni a procedere operato all’ultimo momento. L’on. Nino Leone, oggi componente del Csm, aveva predisposto una relazione contraria all’arresto, avendo individuato la sussistenza del fumus persecutionis ai miei danni, ma, da relatore di maggioranza divenne di minoranza, per il volere del capo Matteo, che ha potuto, così, realizzare il suo più proficuo spot elettorale, sulla mia pelle. Per il resto il Pd di ieri è lo stesso di quello di oggi: al suo interno l’anima garantista convive con quella giustizialista. Nessun peso ha avuto, nella vicenda relativa alla autorizzazione al mio arresto, la componente locale o regionale del Pd».

Quali prospettive ha il Pd, lei si sente ancora un parlamentare di questo partito?

«Oggi le prospettive di questo partito sembrano indissolubilmente legate a quelle del suo leader. Di fatto si è snaturata la vera essenza fondatrice, che vedeva il Pd come l’unica formazione politica ad avere una gestione formalmente e sostanzialmente democratica. Oggi, ritengo, non sia più così, ma non è un processo irreversibile. Si può ancora correggere. Atteggiamenti così marcatamente populisti e leaderisti non possono essere condivisi da uomini politici con alle spalle una storia così profondamente radicata nella democrazia di questo Paese. Si procede verso una deriva che è quella di un partito con un uomo solo al comando, con buona pace dei dissenzienti. Questa è la svolta? A mio modestissimo parere questa è la fine. Ma, come dicevo, la rotta può ancora essere invertita: per fortuna, la parte istituzionale del partito tenta in extremis di salvare una idea e un progetto politico. In questo mi ritrovo ancora, ma un ritorno non dipende solo da me».

Come vede da osservatore, attraverso quello che ha potuto percepire, la prospettiva di Messina?

«Leggo, mi aggiorno e mi riferiscono sulla continua decadenza di questa città. Non avrei, com’è ovvio, una ricetta magica. Forse varrebbe il solito vecchio principio: aprire all’esterno, valorizzando le risorse interne. A me pare che oggi si tenda solo a fare fuggire le risorse interne. Mi auguro solo che i nostri figli desiderino continuare a vivere in questa straordinaria e bellissima città».

Cosa si deve cambiare nel sistema politico siciliano per avere più governabilità? Cosa pensa del caso Tutino-Crocetta?

«La storia ci insegna che non si riesce mai a governare fino in fondo. Hanno fallito in questo grandi uomini politici, figuriamoci soggetti incapaci di compiere atti di concreta programmazione e di avere una visione seria di prospettive future. Siamo nell’era di veri e propri clown che scimmiottano atteggiamenti autoritari e supponenti, solo per far sentire la presenza di se stessi. È un balletto antico. Oggi però in Regione neanche questo si riesce a mettere in scena. Sul caso Tutino, non esprimo giudizi su una vicenda di cui, ovviamente, ho conoscenza solo attraverso i resoconti giornalistici. Ci sono delle indagini in corso e bisogna rispettarle. Un dato, però, è certo. Il nostro presidente della Regione non ha avuto solidarietà da parte di alcuno. Persino le più alte cariche dello Stato, nel mostrare vicinanza all’ex assessore alla Sanità, non hanno dubitato per un solo istante della “veridicità” della notizia che lo riguardava. Evidentemente, a prescindere dai fatti, che si accerteranno, in molti lo hanno reputato capace di comportamenti così spregevoli. È questo l’argomento di riflessione».

Un ricordo di suo padre.

«La perdita di una persona cara è sempre estremamente dolorosa ed è un dolore che bisogna vivere in privato».

Cosa pensa delle motivazioni della Cassazione, depositate qualche giorno fa?

«Dopo aver letto le motivazioni dei diversi provvedimenti dei giudici del Tribunale di Messina, non mi sono certo meravigliato a leggere i passaggi, resi noti ieri, delle sentenze della Cassazione. Mi è sembrato un déjà vu. Certo, continuo a non capire come si possa far riferimento ad appropriazioni per milioni di euro, mai in questi termini contestatemi; o come si possa ancora porre in collegamento due vicende giudiziarie - formazione e fondi esteri - che non hanno tra di loro alcun punto di contatto, come è stato già ampiamente documentato dalla mia difesa. Mi ha sorpreso, piuttosto, la correlazione temporale tra la sostituzione della misura cautelare nei miei confronti e la pubblicazione delle motivazioni della Cassazione. Ma sarà stato un caso».

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