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Era un lavoratore che viveva per la famiglia

 Si è incisa in ogni messinese l’impressione per un delitto sconvolgente, qualunque sia stata l’escalation del diverbio che in pochi minuti conditi di insulti, ha indotto Roberto Mangano a spezzare con una coltellata la vita di Salvatore La Fauci, il muratore di Valle degli Angeli, padre di due figlie, trafitto sul marciapiede del Viale San Martino. Nell’ora di punta del pomeriggio, tra la gente di Provinciale che conversa e gode insieme della prima aria fresca. Uno di quei litigi in strada che possono attraversare ogni vita, all’improvviso, ma che talora liberano la bestialità più folle. Ma l’impressione di quest’ennesimo accoltellamento in città, si arricchisce di umana commozione quando si scorrono, s’ascoltano, i ricordi di un’esistenza che aveva ancora tanto da dire. Allora chiunque può comprendere fino in fondo l’abisso in cui la violenza fa precipitare, lo sfregio inferto con un fendente alle altre vite collegate a quella che si è recisa. Non è Internet, non è un videogioco, è la vita. Cui va ridato il suo enorme peso, valore, significato. Salvatore La Fauci, 54 anni, divideva l’esistenza con la sua compagna Maria, operatrice socio-sanitaria all’istituto Piccole Sorelle di Gazzi, da cui a 43 anni aveva avuto una bellissima bambina. Entrambe, che la sera di lunedì lo aspettavano per cena, hanno subito una perdita devastante. Così come straziata è l’altra figlia dell’uomo, residente a Villa san Giovanni, frutto di un precedente matrimonio, già provata dal destino perché rimasta vedova a trent’anni con due bambini. Soprattutto per loro, per aiutare al meglio figli e nipoti, come fa ogni buon padre, Salvatore La Fauci faceva il suo lavoro con passione ed era conosciuto tra i negozi e le piccole ditte di Provinciale. Era un muratore pronto a far tutto, con gli attrezzi nel bagagliaio della sua Vespa itinerante, a disposizione di chi avesse un problema, dal bar molto noto alla più umile abitazione. Il suo fratello maggiore, Giuseppe La Fauci, 62 anni, lo ricorda così: «Lui viveva davvero per la sua famiglia e aveva un sorriso per tutti, anche per il senegalese del marciapiede al quale offriva il caffé. E dove entrava chiedeva con gentilezza: “A travagghiu come semu?”». Salvatore La Fauci ce l’aveva nel “dna”, quel suo lavoro, era uno dei 9 figli di un operaio edile originario del rione Taormina poi trasferitosi a Provinciale. Secondo dopo Giuseppe, e poi Vincenzo, Salvatore e Giovanni, e le cinque sorelle Letteria, Tommasa, Caterina, Antonia. Salvatore è il secondo a morire a causa di una tragedia improvvisa, dopo l’addio a Vincenzo La Fauci spentosi a soli 34 anni durante un’immersione in mare. Due dei fratelli, Giovanni e Tommasa, sono accorsi dal Piemonte dove vivono. Adesso tutti i suoi cari attendono che, dopo l’autopsia, il suo corpo sia restituito alla famiglia. Per potergli dare l’addio in chiesa pregando Dio – prorompe Giuseppe tra le lacrime – che dal Cielo ha visto tuto quello che è successo al mio povero fratello».(a.t.)

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