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Olga Nassis,
la “sua” Grecia,
la democrazia

di Nuccio Anselmo

Gli occhi scintillanti di Olga Nassis è come se ricordassero ai messinesi che sono nati greci ma lo hanno dimenticato, perdendo irrimediabilmente per strada il loro mare e le origini, voltando le spalle al mondo e alla Storia.

In questi giorni di gioiosa frenesia ellenica, di clamoroso e vittorioso “no” al referendum, di bandiere biancazzurre liberamente sventolanti in tutto il mondo - a proposito una è comparsa ieri pomeriggio anche sul balcone del sindaco Accorinti, a Palazzo Zanca -, parlare con lei significa dare voce alla comunità ellenica messinese, per capire come ha vissuto il dramma di un paese che a distanza di molti secoli ha riportato un forte anelito di democrazia al centro dell’Europa.

E figlia d’arte politica la Nassis. Suo nonno fu tra i fondatori del partito comunista greco, il SEKE che poi divenne del ’24 KKE, e anche deputato per due legislature. Suo padre abbandonò il paese per arrivare a Messina durante la dittatura dei colonnelli, poi una volta chiusa quella pagina nera tornò in patria.

Lei è stata uno dei candidati siciliani alle ultime elezioni europee con la lista “L’altra Europa con Tsipras” e ha raccolto circa diecimila preferenze, è attivista di Syriza e membro del comitato nazionale “L’altra Europa con Tsipras”. È dottore di ricerca nella nostra Università, i suoi figli «sono fieri di parlare anche il greco» oltre all’italiano, a Messina vive e lavora ormai da molti anni.

La vittoria del no al referendum greco è una richiesta di aiuto o un voltafaccia all’Europa?

«Né l’uno né l’altro, è intanto il riproporre un tema e un concetto nel luogo dov’è nato, il concetto di democrazia e soprattutto nella sua forma più pura. La mossa di indire un referendum per avere conferma della fiducia che il popolo già gli aveva accordato nelle precedenti elezioni rispetto a delle scelte, che sono certamente delle scelte che possono prefigurare degli scenari atroci, in un’Europa dove le libere elezioni stanno diventando una realtà sempre meno praticata. Direi che intanto è la vittoria della democrazia. Non è un caso che in Italia ci troviamo tre legislature, tre governi, non eletti da libere elezioni. E questa è una pratica diffusa in tutt’Europa. In secondo luogo la vittoria del no dimostra che un capo di Stato è tanto più forte quanto più agisce nell’interesse e nella considerazione del suo popolo. E Tsipras in questo si è dimostrato un gigante. E poi la vittoria che finalmente smaschera quello che è il punto centrale del conflitto dove abbiamo uno scontro tra due strategie opposte. Dall’altro un modello di Europa che è quello originario, quello immaginato da Altiero Spinelli a Ventotene, da De Gasperi a Schumann, che è l’Europa dell’unificazione, l’Europa dell’uguaglianza, della solidarietà. E dall’altro abbiamo un sistema che ha dimostrato di dividere e di creare sempre più profonde disuguaglianze, con un’Europa a due velocità. Quella della periferia, sempre più povera, e quella centroeuropea che risponde alle oligarchie finanziarie e all’asse franco-tedesco».

Vi aspettavate che la comunità messinese rispondesse in maniera così viva alla vostra manifestazione dell’altro ieri a Palazzo Zanca?

«Io me l’aspettavo, così come mi aspettavo questa larga vittoria del no in Grecia».

Dirlo dopo è molto facile.

«L’ho detto anche prima, in tempi non sospetti. Perché io guardo la piazza oramai e la terza volta che osservando la campagna elettorale per esserci stata e per averla seguita in prima persona in Grecia, io ho visto dall’alto un’offensiva dei media che rispondono a precisi interessi, a lobby che non hanno a che fare...».

Lo sapevo, la colpa è sempre dei giornalisti.

«No, non sempre è colpa dei giornalisti. Però è innegabile che la stampa greca, le televisioni private in realtà hanno fatto una campagna aggressiva per il sì. Da un lato all’esterno si percepiva questa cosa che ridicolizzava Tsipras e Varoufakis mentre poi invece c’erano le piazze che erano piene. Comizi, la campagna porta a porta, capillare, nelle montagne, raggiungendo i posti più difficili. L’ho percepita così com’era. C’era la piazza contro Internet, contro l’etere».

La bandiera greca esposta l’altro ieri a Ficarra e oggi a Messina, nei municipi, come le giudica?

«È una cosa molto bella. Al di là delle radici, dell’identità, che potrebbero essere la scorciatoia più facile, in realtà viene fuori la necessità di solidarizzare con un popolo che ha dimostrato di agire per la dignità con orgoglio, ha saputo alzare la testa e non ha ceduto ai ricatti. È una cosa molto bella che alcune istituzioni si espongano per solidarizzare per un’idea, per un popolo ma anche per un’idea. Proprio quella della democrazia nel suo paese d’origine e mi auguro che sia contagiosa».

Lei lavora qui da anni, Messina è una città greca che ha perso le sue origini. Quale scatto ci vuole secondo lei, dei messinesi, per “imparare” da quello che è successo in Grecia? Come vede la città?

«Io dico che Messina esce fuori da un’esperienza recente che è stata la vittoria di un sindaco come Accorinti, una vittoria popolare. Ripeto, è sempre la piazza che si è espressa contro un sistema, se vogliamo, e penso che questo sia un patrimonio che non dev’essere dissipato. Noi non ce lo dimentichiamo che quella di Accorinti è stata una vittoria popolare, faremo in modo che non lo dimentichi anche lui».

La comunità greca ha una certa difficoltà a essere riconosciuta in città.

«Accorinti è sempre stato vicino a Tsipras, quand’è venuto a Palermo lui c’era, e tutto ciò dev’essere sempre tradotto in azione di volta in volta, la singola questione va affrontata con maturità».

Capisco che è difficile fare profezie. Che scenario si prospetta adesso secondo gli osservatori nel suo Paese?

«Gli osservatori non sono concordi».

È innegabile che avete bisogno di misure particolari per pagare questi debiti?

«Più che misure particolari bisogna rendere queste misure flessibili dove c’è la possibilità di pagare i debiti. Non puoi spremere un popolo fino al sangue. È umanamente impossibile chiedere ancora sacrifici alla Grecia. Che nei cinque anni ha applicato alla lettera le misure richieste dalla BCE, dal Fondo monetario che in realtà hanno portato risultati disastrosi, quella che viene definita una “macelleria sociale”. Quello che secondo me andrebbe discusso immediatamente è la ristrutturazione del debito inesigibile, quello che tra l’altro è stato uno degli argomenti anche della campagna elettorale per le politiche. Una revisione del sistema di governo anzi, dare la possibilità di applicare i piani di rientro e le misure che aveva proposto, che tra l’altro sono misure sostenibili che in realtà non sono state accettate in maniera autoritaria da parte delle istituzioni europee durante le varie riunioni delle trattative che si sono tenute. Bisognerebbe assicurare in questo momento flussi di risorse finanziarie e investimenti nei paesi che sono in difficoltà. E sono tante le informazioni sbagliate che vengono veicolate dalla stampa, come la storia delle pensioni, le “baby-pensioni”, quando in realtà stando a fonti ufficiali e autorevoli le pensioni in Grecia sono tra le medie più alte d’Europa. I greci vanno in pensione a 61,7 anni, una delle medie più alte d’Europa. Quindi anche li sono tutte informazioni strumentali per dare quest’immagine che la Grecia ha fatto bagordi e che adesso non vuole pagare i suoi debiti».

L’ultima volta che è andata in Grecia quand’è stato?

«Per le politiche».

E che situazione ha trovato?

«Intanto c’era una differenza tra le varie province. Ho trovato un’Atene svuotata, da città caotica che era, paradossalmente, e questo per certi aspetti è positivo, vivibile. Svuotata di abitanti, con un’altissima percentuale di popolazione migrante che è rientrata nei paesi d’origine. Penso agli albanesi che sono rientrati in Albania dove le condizioni sono più favorevoli. Parliamo di una fetta importante della popolazione di Atene. Lo stesso fenomeno si è registrato a Salonicco. Atene è una città di quasi 5 milioni di abitanti. Metà dei greci vivono ad Atene. Ma non essendoci più opportunità di lavorare, quasi il 40% delle famiglie che vivono in situazione di povertà, molti sono costretti a tornare nei paesi d’origine per vivere con quello che rimane della pensione dei nonni o meglio che vada dei genitori, quelli che ancora hanno la possibilità di avere una pensione decente».

La comunità ellenica da quanti greci è composta dalle nostre parti?

«Per Messina e provincia sono circa 300 persone, tra i greci di prima, seconda e terza generazione».

E cosa fate per mantenere la memoria di questo passato, qui da noi?

«Si organizzano spesso delle iniziative. La più significativa ritengo sia stata quella di avere riportato a distanza di 100 anni le icone, le preziosissime icone che appartenevano alla Confraternita dei greci e che erano esposte tra l’altro alla Chiesa di San Nicola distrutta dopo il terremoto e salvate dalle navi greche e russe. Quelle che abbiamo portato qui si trovano esposte al Museo bizantino di Atene. Il successo che ha avuto l’esposizione delle icone dimostra proprio la necessità dei messinesi nel riscoprire questo pezzo importante, la loro stessa identità. Questo pezzo importante della loro storia che non può essere cancellata. Sono state inaspettate anche li le presenze alla prima giornata, all’inaugurazione. Mentre tante altre mostre non hanno avuto il successo delle icone».

Che significa essere greci di terza generazione?

«Io sono di padre greco che vive in Grecia e madre italo-greca. Diciamo che la mia è una condizione più a contatto con la Grecia, perché vado e vengo e ci ho vissuto da piccolina, seppure i ricordi siano sfocati».

Secondo lei i messinesi troveranno mai un po’ di coraggio come quello dei greci?

«I messinesi l’hanno trovato una volta, devono essere bravi a rilanciare».

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