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È arrivato da vincente, ha salutato da sconfitto

                                                                                                 di Marco Capuano

La più grande sconfitta della sua vita. Lo ammette a denti stretti lui stesso quando sottolinea che in quarantaquattro anni di pallone è la prima retrocessione che deve mandar giù. Ha dichiarato conclusa con la più umiliante delle sconfitte la sua esperienza messinese, ma ieri Pietro Lo Monaco non sembrava per nulla scosso da una decisione così drastica che forse aveva maturato da un bel po'. Quel progetto che aveva avviato tre anni fa, che nei suoi propositi doveva riportare in pochi anni la serie B in riva allo Stretto, non si era rivelato vincente nonostante i primi incoraggianti campionati conclusi davanti a tutti. Questione di feeling mai sbocciato con la piazza, di cattivi rapporti con le istituzioni, di un modo di fare che mai ha conquistato i messinesi che a cavallo dei due millenni si erano, invece, innamorati della coinvolgente passione giallorossa di Emanuele Aliotta, lui sì un presidente vincente e trascinatore come pochi altri. Lo Monaco, invece, non ha mai attecchito col territorio messinese. Con la sua aria saccente non è mai riuscito nell'intento di riportare entusiasmo allo stadio nonostante le prime vittorie. E questa è un’aggravante. Ha riconosciuto i propri errori solo il giorno in cui ha annunciato il disimpegno dopo tre anni trascorsi a individuare il nemico di turno e a scaricare le responsabilità sulla città. Attirandosi, di fatto, le antipatie del popolo e stancando, con i suoi continui lamenti, anche chi qualche anno prima lo aveva fatto sentire un re. Ha detto basta in una calda mattina di giugno quando la decisione, invece, l'aveva già presa da tempo. Forse a gennaio, quando una squadra già malata non era stata rinforzata a dovere, più probabilmente in primavera quando ha preferito sparire dalla scena nel momento in cui il Messina, sempre più vittima di lacune strutturali e insicurezze caratteriali, aveva più bisogno della sua presenza per restare aggrappato al professionismo. Come se il primo a non crederci più fosse stato proprio lui, esportando la sfiducia a un gruppo troppo debole psicologicamente per centrare l'obiettivo. Ha parlato di sistema che non va, di città che ha ostacolato i suoi propositi, di giocatori che ha chiamato ironicamente “eroi” sol perché in campo hanno dimostrato tutto il loro reale valore, tradendo la fiducia di chi invece li aveva sopravvalutati. Eppure questo storico passaggio ha un solo grande responsabile: Pietro Lo Monaco. È arrivato da vincente e se n'è andato da sconfitto. Messina non rimpiangerà i suoi modi burberi e arroganti, anche se il domani è sempre più denso di nubi.

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