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Da salvatore a indesiderato, la parabola del patron

 Era arrivato tra due ali di folla una mattina di tre anni fa a Palazzo Zanca come il salvatore del calcio a Messina. Microfono in mano, giacca azzurro cielo e petto in fuori non nascose le ambizioni del suo gruppo: «Puntiamo in alto, l’obiettivo è la Serie B in pochi anni». L'ovazione che seguì è un lontanissimo ricordo, tutto il contrario dei sentimenti che oggi gran parte degli sportivi giallorossi nutrono nei confronti di Pietro Lo Monaco. Da idolo e simbolo del rilancio giallorosso a responsabile di un fallimento che oggi più che mai getta ombre sul futuro. Trentasei mesi e il calcio cittadino è punto e a capo. Dalla serie D alla D, Lo Monaco ha fallito la sua missione. Senza se e senza ma. Retrocesso sul campo dopo un’annata horror, un feeling mai sbocciato con la città e i cattivi rapporti con la politica, il patron giallorosso è riuscito nell'ultima stagione a vanificare un biennio di vittorie. È arrivato in una situazione di macerie, Lo Monaco, e spesso ha sottolineato il recente passato dei giallorossi dimenticando, però, che da queste parti, città di mare e... di pallone, brilla un prestigioso passato fatto di cinque campionati di Serie A e ben 32 di B. Le scarse presenze allo stadio sono state sempre un suo cruccio. Già, ma Messina non si è mai innamorata del suo modo di operare perché l'entusiasmo è anche figlio di ciò che trasmette la società. Le continue “minacce” di non proseguire il progetto a Messina «perché in questa città non si può fare calcio», perché la gente non va allo stadio e la politica non collabora, hanno fatto il resto. Ma mai un "mea culpa". E poi la squadra e l'allenatore. Con Grassadonia le frecciatine reciproche sono state all’ordine del giorno. Il tecnico ha avuto il “torto”, da cattivo “sarto”, di aver più volte scoperto gli altarini sulla qualità dell’organico. Tanti gli attacchi alla squadra che, secondo “Plm”, più volte ha lasciato grinta e determinazione negli spogliatoi. Eppure quella stoffa modesta l’ha portata proprio il patron che avrebbe dovuto capire anzitempo che quella rosa valeva la bassa classifica, non di più. Ma il torto maggiore del patron è stato aver abbandonato la nave negli ultimi due mesi. Proprio quando bisognava affrontare le onde, la sua presenza è mancata. Sugli spalti e davanti ai microfoni. Optando di isolarsi nel suo silenzio. L’umiliante ritorno in D rischia di essere il modo peggiore di concludere un’avventura iniziata tre anni fa tra promesse e quell’atto d’amore che oggi sembra svanito.

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