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Il “dilemma” dei trecento precari di Palazzo Zanca

 Da una parte la possibilità, in alcuni casi anche dopo 25 anni, di riporre definitivamente nel cassetto quella parola, “precario”, che per definizione si traduce in incertezza lavorativa. Dall’altra la consapevolezza che la certezza, invece, del contratto a tempo determinato, ad oggi potrà avvenire solo col contemporaneo dimezzamento dello stipendio, cioè a 11 ore settimanali, cioè a non più di 300-400 euro al mese in busta paga. Da qui il dilemma, che da giorni è al centro dei pensieri dei 288 precari di Palazzo Zanca: continuare in regime di “tempo determinato”, con uno stipendio più alto ma senza garanzie sul futuro o accettare la stabilizzazione ma anche la riduzione della paga, senza vere e proprie certezze su una futura integrazione oraria che al momento può essere considerata solo eventuale? Il rebus non è semplice, né per i diretti interessati, i lavoratori, né per i sindacati, anche stavolta spaccati tra loro e con linee diverse, né per la stessa amministrazione comunale. Che sa bene di non poter fare a meno di questo “esercito” di dipendenti che, in molti casi, rappresentano l’ossatura fondamentale di uffici e dipartimenti, sa bene che una riduzione oraria sarebbe un bel problema per un ente sotto organico e sa bene pure, però, di avere minimi, se non nulli, margini di manovra. Lo spiega a chiare lettere il segretario generale Antonio Le Donne, architetto dell’intera operazione stabilizzazione: «La legge dice che il Comune può stabilizzare entro i cosiddetti “spazi assunzionali”, cioè secondo percentuali stabilite dalla legge, non dal Comune, relative al turnover col personale pensionato. Per farla semplice: se vanno via dipendenti che pesano 100, io posso assumere spendendo 50, di questi 50, poi, 25 li devo spendere assumendo dall’esterno, 25 stabilizzando personale interno. Ed è da un calcolo matematico che vengono fuori le 11 ore settimanali». Una capacità economica che ha un’origine: «La legge, oggi, ci consente di utilizzare le risorse relative solo agli anni 2014 e 2015. Insieme ad altri comuni stiamo lavorando ad una proposta che consenta di utilizzare le risorse anche del triennio 2011-2013 e siamo in attesa del nuovo decreto Enti locali». Aprire questa “finestra” significherebbe arrivare a 14-15 ore settimanali: non un grande “balzo” in avanti ma un primo passo sì. Del resto è scritto nero su bianco nella bozza di delibera oggetto di “trattativa” coi sindacati: «L’Amministrazione, attuata la stabilizzazione con contratto a tempo indeterminato part time del personale precario ed allorquando dovrà garantire l’efficacia continuità nell’erogazione alla collettività dei servizi istituzionali, procederà all’aumento delle ore contrattuali». Insomma, integrazione oraria appena possibile. Ma quando? E con quali garanzie? Altro problema: l’immancabile caos burocratico. La Regione non ha dato alcuna direttiva, né sui contributi da stanziare, né si chi, come e quando procedere con le assunzioni, né sulla possibilità di concedere proroghe per, sostanzialmente, prendere tempo. Anche in questo caso il city manager Le Donne dovrà inventarsi qualcosa. E l’esercito dei trecento rimane nel limbo.

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