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Il partigiano messinese
martire della Resistenza

di Antonio Siracusano

Su quei muri scrostati e umidi della prigione di via Tasso, usata dai nazisti per torturare dissidenti e partigiani, c’era anche la sua firma. Nome e cognome, testamento per la libertà scritto con il sangue che scorreva dalle ferite provocate dagli aguzzini tedeschi, ultimo alito di resistenza prima della sentenza di morte: tenente colonnello Giovanni Rampulla, classe 1894, unico messinese (16 i siciliani), originario di Patti, trucidato alle Fosse Ardeatine. Un uomo che ha interpretato fino al sacrificio più prezioso la lealtà militare e il dovere di coscienza, servitore della Patria e partigiano, nel nome di un valore senza divisa.

Eppure oggi, 70° anniversario della Liberazione, si fa fatica a scorgere la memoria di quest’uomo in una storia della Resistenza prodiga e qualche volta ampollosa. Forse perché il suo profilo militare “stona” con l’immagine forgiata nella cultura postbellica, o più semplicemente perché ignoranza e indifferenza hanno esercitato il potere obliante della rimozione. Le uniche testimonianze che parlano di Giovanni Rampulla sono una piazza che gli hanno dedicato nella frazione Scala di Patti e una via a Oliveri, il paese nel quale si trasferì da piccolo con la famiglia.

Soldato nella guerra del 1915-1918, ufficiale di artiglieria nel secondo conflitto mondiale, pluridecorato, davanti al bivio dell’8 settembre 1943 non ha dubbi e si schiera al fianco di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, nella formazione del Fronte Militare Clandestino.

Dopo l’attentato di Via Rasella finisce nella rete della rappresaglia, tradito per mille lire da un delatore, il suo ex attendente - anche lui della provincia di Messina - che lo consegna alle Brigate Nere e ai tedeschi. Giovanni Rampulla viene rinchiuso in via Tasso, dove rifiuta le lusinghe dei fascisti che volevano arruolarlo nella Repubblica sociale di Salò. Subisce le torture ma non cede. Le Fosse Ardeatine sono la sua tomba, insieme ad altri 334 italiani, tra civili e militari. Era il 24 marzo del 1944: «Il cadavere, o quel poco che rimaneva, fu riconosciuto dal fratello Gioacchino, un ingegnere che viveva ad Oliveri», ricorda oggi Marisa Gaglio. Suo padre era cugino del tenente colonnello: «Mi raccontava di quest’uomo con il quale aveva condiviso campagne militari nell’ex Jugoslavia. Lo descriveva come una persona che credeva nel valore della libertà. Mio padre dopo tanti anni riuscì a scovare quel traditore e si tolse la soddisfazione di insultarlo. Giovanni Rampulla era un partigiano vero, un comandante, capace di sacrificare la vita per i suoi uomini. Fu il fratello Gioacchino a identificare il corpo, grazie all’etichetta della biancheria intima che il tenente colonnello comprava a Messina, in un negozio sul Viale San Martino. E i miei genitori, dopo qualche anno, visitarono la prigione di Via Tasso, dove lessero sulla parete di una cella il nome e cognome di mio cugino. Gli spiegarono che molti usavano il sangue per lasciare una traccia di memoria».

Gli ultimi parenti del tenente colonnello hanno ricordi flebili ma l’impronta è luminosa: «Siamo orgogliosi di lui, è un esempio che custodiamo come una reliquia – dice Mario Rampulla, anche lui figlio di un cugino del martire della Resistenza –. Era un uomo che non si tirava mai indietro quando si trattava di salvare vite umane. Pensi che mio fratello Michelangelo (ex portiere della Juventus ndr) negli anni scorsi, il giorno prima della partita, fu raggiunto in un albergo a Pistoia da un uomo anziano. Era un ex militare strappato alla morte dal tenente colonnello. In lacrime gli raccontò come riuscì a salvarlo».

Di Giovanni Rampulla rimangono una piazza nella frazione Scala di Patti, una via a Oliveri e una tomba nel sacrario delle Fosse Ardeatine, numero 32. Forse, sarebbe il caso che anche Messina facesse uno sforzo per dare un volto vero al 25 Aprile, al di là delle rievocazioni celebrative.

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