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Tutti i disagi nelle parole crude di un genitore

Bandi di gara, bilanci, cooperative ed enti. Parliamo di un servizio, di lavoratori che incrociano le braccia perché senza stipendioda quattro mesi, di una vertenza. Per diversi giorni abbiamo raccontato quella relativa all'assistenza e trasporto degli studenti disabili, coloro che più degli altri sono vittima di un sistema, politico-gestionale, che ha evidentemente fallito, perché non in grado di dare risposte a coloro che per diritto dovrebbero beneficiarne. Mentre le soluzioni latitano ci sono occhi che piangono e disagi che si moltiplicano, raccontati, senza filtro, da un padre di questi ragazzi con handicap che chiedono solo di andare a scuola, nulla di più. Antonio Bonomo, rappresentante del comitato “Genitori Figli Speciali”, ha scritto una lettera piena di rabbia e dispiacere, spiegando come stanno vivendo loro questo momento difficile.

«Oggi è il settimo giorno che gli operatori sono in sciopero e lo sconforto e il senso di impotenza mi assale - si legge -. Tutto scorre nel silenzio generale ed io come tanti altri genitori mi reco a scuola. Trovo solo due operatori su cinque, entrambi uomini, e mi domando: se mio figlio fosse stato femmina? Arriva uno dei due soli mezzi in servizio, sarebbero dovuti essere molti di più, sale a bordo un ragazzo la cui gravità è tale da necessitare di assistenza anche sul mezzo e un operatore lascia la scuola per salire sul bus che lo riporterà a casa. Adesso a scuola è rimasto un solo assistente, mio figlio è dentro, anzi mi sbaglio, i miei ragazzi sono dentro perché conosco tutti, i loro sguardi, sorrisi e movimenti. Prego: “speriamo che non abbiano bisogno”. Arriva una mamma, l'unico operatore non è disponibile, è impegnato con un altro ragazzo, la saluto, ha gli occhi spenti, forse come i miei, suo figlio è autistico, come il mio, esce accompagnato dall'insegnante e va via. Così di seguito vedo arrivare tanti genitori speciali che conosco, perché oggi non si lavora, si va a prendere i ragazzi. Alcuni con una dignità esemplare, aprono le loro carrozzine come fosse una danza, con un gesto che esprime una maestria unica, quella del dolore muto e sordo. Li vedo uscire tutti, quelli presenti, mentre l'unico operatore è impegnato con uno dei più gravi e tra me e me continuo a pregare: “speriamo che nessuno abbia bisogno”. Alla fine giunge, dopo più di un'ora, il mezzo. Accoglie l'altro ragazzo grave, oggi siamo stati fortunati, non è successo nulla. Tornerò, aspetterò nel cortile tutte le ore, perché mio figlio ama la scuola, è la sua vita, ma potrebbe avere bisogno di aiuto e malgrado l'encomiabile impegno e la buona volontà degli insegnanti, per un ragazzo autistico la mancanza delle figure di riferimento è destabilizzante per fobie ed ossessioni».

Questa la mattinata, poi ci sono le considerazioni. «Gli operatori? Li ho visti, quelli in protesta, non hanno lo stipendio da quattro mesi e li capisco, alcuni piangevano e mi chiedevano scusa per i nostri figli. Anche il loro è un bisogno che merita il massimo rispetto, non si può tornare a casa senza soldi per un periodo così lungo e svolgere un lavoro così delicato. La Pasqua è passata da poco ed in quel periodo vi sono stati innumerevoli incontri dedicati a solidarietà, disabilità ed integrazione, si sono svolti nei vari salotti e teatri cittadini con la partecpaizone di utenti, cittadini, politici: per potere dire “io ho fatto il mio”. Ma la realtà di tutti i giorni è diversa e l'ipocrisia di questa città indifferente resta granitica e inscalfibile, pesa come un macigno sul futuro dei nostri figli». Cosa aggiungere? Nulla, resta solo da sentirsi piccoli piccoli.

 

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