Novanta giorni di tempo per chiarire con certezza le cause della morte dell’operaio Michele Bettini. E’ quanto ha chiesto, al sostituto procuratore Annalisa Arena, il medico legale Patrizia Napoli che ieri ha eseguito l’autopsia all’obitorio del Papardo. Tre mesi per effettuare gli esami necessari a stabile se l’operaio, che lavorava presso uno sfasciacarrozze di Gazzi, si sia suicidato o sia stato ucciso. Il corpo è stato trovato la mattina del 9 aprile scorso all’interno del cantiere abbandonato del centro polifunzionale di Maregrosso. Era inginocchiato con una corda al collo legata ad una trave. Una posizione che ha ingenerato molti dubbi negli investigatori. Dubbi in parte fugati tanto dall’esame autoptico quanto dalle indagini dei Carabinieri. Intanto i solchi presenti sul collo della vittima sono abbastanza evidenti, tipici della morte per impiccagione. Quindi appare possibile che Bettini quella sera, dopo aver salutato alcuni amici con cui si era intrattenuto, ha raggiunto il cantiere, si è annodato la corda al collo e si è lasciato andare da una trave alta poco più di un metro e mezzo. Fra l’altro i segni di trascinamento rilevati dai Carabinieri vicino al cadavere sono presenti in molte altre zone del cantiere quindi potrebbero non avere alcuna rilevanza. Gli stessi abiti e le scarpe, che ieri al termine dell’autopsia sono stati sequestrati dai Carabinieri, non sono particolarmente impolverati come sarebbe normale se il corpo fosse stato trascinato per metri. I Militari, che non hanno trovato né lettere né biglietti d’addio, hanno sequestrato il telefono cellulare in attesa di ricevere i tabulati per veririfcare gli ultimi contatti telefonici della vittima. Altra circostanza sulla quale gli investigatori stanno lavorando riguarda un fratello di Bettini, scomparso misteriosamente dieci anni fa e del quale non si è saputo più nulla. Per la Procura un caso di lupara bianca ma per il momento non è stato trovato alcun nesso fra quella sparizione e la morte dello sfasciacarrozze.
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