L’intervento di Emilio Fragale ha spezzato una pesante coltre di silenzio. Il ritorno in carcere di Francantonio Genovese sembra più il frutto di una grigia burocrazia giudiziaria che non un atto di giustizia e di rispetto della legge. Lungi da noi il voler esprimere giudizi sulle inchieste avviate e sui procedimenti in corso. È stata opera meritoria scoperchiare il pentolone della Formazione professionale in Sicilia e far venire a galla gli effetti distorti di un sistema di potere familistico e clientelare. Chi ha sbagliato, dovrà pagare. Chi verrà condannato, dovrà scontare la pena. Ma oggi si discute su un passaggio che effettivamente appare abnorme, ingiusto e crudele, come sottolinea l’ex city manager del Comune, sia che riguardi l’uomo un tempo più potente di Messina sia che coinvolga un cittadino comune. Cerchiamo di essere chiari e semplici, e non è facile. La carcerazione preventiva si giustifica in tre casi: pericolo di fuga, reiterazione del reato, inquinamento delle prove. Genovese non poteva e non può fuggire, perché da mesi agli arresti domiciliari. Difficile possa reiterare il reato non avendo più ruoli di alcun genere nella politica nazionale, regionale e locale. E dopo tanti mesi, appare francamente difficile che possa inquinare le prove. Ma c’è di più. Tre giorni prima della pronunzia della Corte di Cassazione, all’indagato Genovese (poteva chiamarsi in qualsiasi altro modo, la questione non riguarda lui in quanto ex sindaco e parlamentare ma ogni cittadino di fronte alla Legge) viene notificato l’affievolimento della misura restrittiva. L’ex leader del Pd resta ai domiciliari ma può comunicare con l’esterno, anche con altre persone diverse dai familiari stretti. Settantadue ore dopo, quella stessa persona viene portata in carcere. Vogliamo ricordare un brano dell’intervento di Fragale pubblicato ieri sulla Gazzetta: «Pertanto, siccome il Giudice che, mesi e mesi orsono, aveva disposto sulla non permanenza in carcere aveva “sbagliato”, occorre rimediare riportando Genovese in cella. Solo che non si tratta di sentenza nel merito dell’innocenza o della colpevolezza ma di sentenza sull’applicazione o meno di una misura atta ad evitare, durante il periodo di indagini, che si potessero inquinare le prove. Tuttavia, il dato viene notificato “oggi” a un cittadino a cui “avant’ieri” si era detto altro, e cioè resta a casa, non ti muovere... ma incontrati con chi vuoi». È o non è un sistema “distorto”?