Suicidio. Le parole adoperate per spiegare quella morte sono «patologica ideazione autosoppressiva». È questa la conclusione della perizia medico-legale sulla morte del prof. Giuseppe Longo, il gastroenterologo 64enne originario di Mandanici che la sera di sabato 20 luglio 2013 fu trovato accasciato senza vita, sdraiato sul divano del salotto mentre guardava un film di Totò, nella sua villa estiva di Mortelle, sul litorale nord di Messina, dalla moglie, Patrizia Zappia, anche lei medico. Accanto c’erano due fiale di cloruro di potassio, che il docente universitario s’era iniettato in vena. E forse è un disegno perverso del destino che la verità processuale su questa storia si dilati nell’inchiesta proprio in questi giorni, oggi è il 15 gennaio, quando si contano - ma lo fanno ormai in pochi -, diciassette anni dalla morte del prof. Matteo Bottari, l’endoscopista assassinato la sera del 15 gennaio 1998 a un semaforo del viale Regina Elena. Un caso clamorosamente irrisolto dopo quasi due decenni di piste sbagliate, mezze verità mai confermate, e clamorosi errori investigativi. Il prof. Longo venne soltanto «formalmente sospettato» di essere il mandante dell’omicidio Bottari, ma poi scagionato pienamente e mai accusato formalmente. La consulenza tecnica sulla morte del prof. Longo è da poche ore sul tavolo del magistrato che nel luglio del 2013 aprì un fascicolo per “istigazione al suicidio”, il sostituto Antonella Fradà, ed è firmata dal prof. Alessio Asmundo, il medico legale che a suo tempo ha effettuato l’autopsia. Il quale conclude le sue diciotto pagine di consulenza tecnica con questa frase: «I dati dell’esame cadaverico, quindi, concordemente con quelli circostanziali relativi al rinvenimento del cadavere del Longo, consentono di escludere che si sia trattato di omicidio e fanno ritenere pressoché certa l’ipotesi della iniezione intravenosa di cloruro di potassio suicidiaria, quale espressione di patologica ideazione autosoppressiva, rispetto all’accidentale». A questo punto, il fascicolo relativo alla morte del prof. Longo è presumibile pensare che sarà archiviato molto presto. Quella morte nell’estate del 2013 di un uomo finito nel «tritacarne mediatico-giudiziario», come lui stesso scrisse in una lettera inviata al nostro giornale qualche settimana prima dell’ultima scelta di vita, sarà classificata come suicidio. Un uomo che, dopo il coinvolgimento in un’altra inchiesta (ne riferiamo nell’altro articolo), era sprofondato in uno stato di prostrazione tale - come riferì la moglie Patrizia Zappia in una lettera al nostro giornale -, tanto da decidere di farla finita.