Un pastore non in carriera, un prete da sempre a fianco degli ultimi e dei migranti. «Ci occupiamo della morte di Cristo, ma non di quella dei poveri Cristi che muoiono durante una traversata», tuonò da Agrigento nell’aprile 2011 durante i riti pasquali. «È inoltre strano», aggiunse, «che si mandino aerei in Libia dicendo che si vogliono aiutare quelle popolazioni, e poi consentiamo che le persone che fuggono dalla guerra possano morire perché non li vogliamo sulle nostre coste». Ecco chi è Francesco Montenegro, 68 anni, messinese, cardinale in pectore, che nella sua Sicilia resterà sempre “don Franco”. Un grande sacerdote, un vescovo coraggioso, non solo animatore dell’accoglienza alle migliaia di migranti che sbarcano a Lampedusa – ai 193 parroci della provincia ha consegnato una piccola croce di legno realizzata da un artigiano di Lampedusa con i resti dei barconi usati dagli immigrati per varcare il Mediterraneo –, ma anche schieratissimo sul fronte antimafia. Nel luglio 2012 ha vietato lo svolgimento dei funerali per il presunto boss di Siculiana, Giuseppe Lo Mascolo. Al parroco della chiesa del Santissimo Crocifisso, dove già era stato trasportato il feretro, la Curia ordinò una semplice preghiera e la benedizione della salma, ma niente messa per Lo Mascolo. Un gesto di una portata straordinaria nella terra in cui, molti anni prima, Giovanni Paolo II ordinò ai mafiosi di convertirsi. “Don Franco” non ha paura e si spinge oltre: gli spettri della mafia li affronta in piazza. Il primo maggio dello scorso anno, con estrema naturalezza e il sorriso sul volto, a quattromila ragazzi presenti a un incontro con il vescovo a cielo aperto, nel cuore della città dei Templi, chiede «se vogliono essere liberi o prigionieri». E li invita a saltare tutti insieme per mandare un messaggio chiaro ai clan mafiosi e a «quelli che in Sicilia, come in altre parti d’Italia, pensano che il bello della vita sia usare la prepotenza, il potere o la violenza: chi non salta – esorta Montenegro – mafioso è!». E la piazza si trasforma in una curva da stadio, con i giovani agrigentini che urlano al mondo da che parte stanno. Loro stanno con “don Franco”, un vescovo che si innesta nel solco tracciato da Bergoglio, che lo vuole a fianco a sé nel primo viaggio del pontificato, guarda caso a Lampedusa nel luglio 2013, e che lo nomina cardinale sebbene non provenga da una sede cardinalizia. Montenegro “strumento” della rivoluzione di Papa Francesco: basta carrierismi, la Chiesa rappresentata dagli uomini di frontiera. La nomina a cardinale di monsignor Montenegro in Sicilia non sorprende: da almeno un anno se ne aveva il sentore. Ma per molti messinesi e agrigentini che lo hanno conosciuto negli ultimi trent’anni, la strada percorsa da “don Franco” non poteva non portare alla porpora.
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