Messina

Martedì 26 Novembre 2024

Centro rifugiati nell’ex area militare di Bisconte

 È trascorso quasi un anno (era il 7 gennaio 2014) da quando i funzionari del ministero dell’Interno, accompagnati dai rappresentanti della prefettura di Messina, effettuarono un giro di ricognizione nell’ex area militare di Bisconte, dove si trovano le caserme Gasparro, Masotto e Nervesa, per individuare spazi da destinare all’accoglienza di migranti. Tra le ipotesi emerse in un primo momento (ma mai confermata dalla prefettura), anche quella di realizzazione, nello spazio in questione, di un Cara (Centro di accoglienza richiedenti asilo). A distanza di 365 giorni, questa possibilità appare ormai prossima alla realtà. Sembra infatti che al “capitolo” accoglienza Messina, il ministero dell’Interno abbia già destinato un finanziamento, pari a tre milioni e duecento mila euro, da utilizzare per la ristrutturazione di quattro degli edifici dismessi della Gasparro che, insieme ai due già utilizzati per il centro temporaneo di accoglienza aperto nello scorso mese di luglio, diventerebbero sede del nuovo Cara, della capienza di circa 350 posti. La struttura dello Stretto andrebbe ad aggiungersi a quelle di Gorizia (Gradisca d’Isonzo); Ancona (Arcevia); Roma (Castelnuovo di Porto); Foggia (Borgo Mezzanone); Bari (Palese); Brindisi (Restinco); Lecce (Don Tonino Bello); Crotone ( Loc. S.Anna); Mineo ( tra le più “calde”); Pozzallo; Pian del Lago a Caltanissetta; Salina Grande a Trapani; Cagliari( Elmas). Alcuni dei centri appena elencati, come riportato sul sito del ministero dell’Interno, svolgono anche funzione di “semplici” Cda (Centri di accoglienza). Il progetto preliminare di ristrutturazione, redatto dopo il sopralluogo e le verifiche tecniche effettuate nelle scorse settimane dai vigili del fuoco di Catania, sarebbe già stato inviato a Roma dalla prefettura di Messina, ottenendo il benestare del Viminale. Il comprensorio di Bisconte, così come altre aree militari dismesse, non rientra più nel patrimonio del ministero della Difesa, bensì in quella dell’Interno. Un “passaggio di consegne” quest’ultimo, consumatosi nei mesi estivi a seguito della richiesta appello lanciata dallo stesso ministro Angelino Alfano in occasione di una visita a Messina (per le commemorazioni in ricordo della strage di via D’Amelio). Il ministro ha invitato le Amministrazioni locali a fornire un elenco di spazi militari dismessi da riconvertire a fini di ospitalità. Una “strategia”, quella lanciata dal leader di Ncd, necessaria per rispondere ai numeri delle operazioni dell’allora Mare Nostrum. In cosa, dunque, un Cara si differenzia da un “normale” centro di accoglienza temporaneo? La diversità è insita nella natura stessa del luogo e negli effetti, anche di natura economica, che ne derivano per coloro che ne ottengono la gestione mediante gara indetta dalla locale prefettura. Mentre infatti strutture come la tendopoli “Primo Nebiolo”, benché ormai aperta da oltre un anno, nascono per affrontare un momento emergenziale, il Cara viene identificato come un centro di seconda accoglienza, destinato cioè ad ospitare i migranti fin quando quest’ultimi non abbiano avuto responso, da parte della commissione territoriale competente, sulla loro richiesta d’asilo. I tempi per ottenere lo status di asilante, sebbene su carta dovrebbero durare un mese, a causa del crescente afflusso di migranti, si protrae anche per un anno e più. Con tutti i problemi che da ciò ne derivano. Lampante, in tal senso, il caso delle lunghe attese, fonte di accese di proteste da parte degli ospiti, esplose al Cara di Mineo soprattutto nel 2011 (nei giorni dell’emergenza Nord Africa). Nonostante la capienza ufficiale della struttura catanese sia di duemila posti, il numero degli stranieri accolti, proprio a causa della lentezza nello smaltimento delle pratiche d’asilo da esaminare, ha toccato anche quota 4000. Il Cara di Messina, come detto, avrebbe una capienza nettamente inferiore, ma essendo ormai quella dello Stretto una pedina fondamentale nello scacchiere della logistica sbarchi, la presenza di un Centro di tale natura, ovvero “istituzionalizzato”, ne rafforzerebbe ulteriormente il ruolo. 

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