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Un Paese impossibile
da riformare

  «Il nostro sistema politico è una palude in cui annega ogni iniziativa e tutto rimane fermo»: Stefano Folli non lascia molto spazio all’ottimismo. L’editorialista di “Repubblica” (già a “Il Sole 24ore” ed ex direttore del Corriere della Sera) si è confrontato con il direttore editoriale della Gazzetta del Sud Lino Morgante, sul tema “È realizzabile in Italia una riforma elettorale e istituzionale?”, nel corso di un incontro organizzato dal Rotary Messina Peloro. Ha introdotto la serata il presidente del Rotary, Pippo Rao, ricordando la formazione liberale di Folli e inserendo –inevitabilmente –anche l’argomento “elezione del presidente della Repubblica”. In apertura Morgante ha paragonato l’eterna tela delle riforme costituzionali in Italia a una soap opera televisiva dal numero infinito di puntate. La successione di registi, da Bozzi a De Mita e D’Alema, non è servita a mettere la parola fine. Ci potrà riuscire Renzi? «Non mi sembra – ha risposto Folli – che il presidente del Consiglio abbia le idee completamente chiare. Ha grandi capacità politiche, ma per portare avanti le riforme occorre un'energia fuori dal comune con una visione istituzionale complessiva, che manca alle attuali proposte in discussione. In Europa Renzi suscita simpatia e nulla di più». Per Folli su questo tema la figura di riferimento rimane Charles De Gaulle. Nel  1958 la Francia passò dalla quarta alla quinta repubblica in pochi mesi operando una riforma radicale dello Stato: «Il generale che divenne presidente aveva la lucidità politica e giuridica necessaria». Sempre incalzato dalle domande di Morgante, Folli ha ricordato come la famosa frase di Winston Churchill, “I tacchini non amano anticipare il Natale”, definisca bene l'interesse personale contrario di deputati e senatori verso le proposte del Governo. «Ma ciò che propone Renzi – ha chiesto Morgante – sarebbe già un buon inizio di riforma?». La risposta di Folli è stata chiara e netta, un no senza discussioni. «Intanto – ha detto –le prime riforme da fare, quelle che ci chiede l'Europa, dovrebbero implicare un taglio drastico della spesa, ma improvvisamente e assurdamente questo è un argomento di cui non si parla più. L'abolizione del Senato non può essere portata come esempio di autentico risparmio e presenta ampi profili di incostituzionalità. Può anche essere utile superare le lungaggini del bicameralismo perfetto (è vero, però, che nessun Paese europeo ha un numero così alto di leggi come l'Italia), ma come può un'assemblea non eletta direttamente dal popolo partecipare poi all'elezione del presidente della Repubblica o dei giudici costituzionali? Sarebbe solo un pasticcio, al massimo un altro Cnel». Del resto, finora l'abolizione delle Province è stata fittizia, figurarsi poi se si può pensare all'abolizione (invocata da più parti, come ha ricordato Morgante) delle Regioni, grande fonte di spesa pubblica. «In verità –ha aggiunto Folli –le riforme non si dovrebbero fare per risparmiare o solo per questo, ma per far funzionare meglio lo Stato». Secondo il giornalista, poi, è davvero impensabile che un Parlamento che a suo tempo non è stato capace di eleggere il presidente della Repubblica improvvisamente trovi concordia sulle riforme. «È stato un fatto molto grave e neppure il discorso pesantissimo pronunciato da Napolitano alle Camere nel momento in cui ha accettato di rimanere (a tempo) sembra aver smosso molto. Adesso non è neppure chiaro che tipo di persona si voglia eleggere: un presidente sbiadito con funzioni notarili oppure un uomo in grado di influenzare il corso delle cose? Va detto che l'autorità un presidente la può guadagnare anche dopo l'elezione; così è stato per Napolitano». Sarebbe necessario un personaggio capace di essere eletto a grandissima maggioranza, come è accaduto a Cossiga e Ciampi. Solo in questo caso, sostiene l'editorialista, potrebbe esserci qualche speranza per le riforme. Si può fare qualche nome?, ha chiesto Morgante. «Non abbiamo un De Gaulle da richiamare – ha risposto Folli – e davvero servirebbe una figura che venga da lontano. L'ideale potrebbe essere Mario Draghi, ma a lui probabilmente non interessa lasciare la Banca centrale europea e la politica sa che subirebbe una specie di commissariamento. Avrebbe anche i contatti internazionali giusti, ma purtroppo la ritengo un'ipotesi poco verosimile». Alla fine gli interventi di Enzo Palumbo («Parlamento delegittimato dalla sentenza della Corte Costituzionale sulla legge elettorale») e Giampaolo Gallo («C'è anche il grande problema burocrazia») hanno contribuito ad allargare il clima di pessimismo 

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