Aveva chiesto alla vigilia una prova d’orgoglio, Grassadonia, ed è stato accontentato. Il punto conquistato dal Messina venerdì sera è di quelli pesanti. Più di un pari, quasi una vittoria per la piega che aveva preso la partita e i valori presenti in campo. L’essere riusciti ad andare all’intervallo sotto di un solo gol è stata la chiave di volta di un Messina che, come contro il Lecce, ha cambiato volto nei secondi 45 minuti, tornando ad essere quella squadra combattiva e temeraria che può giocarsela contro le più forti. Perché basta guardare la cronaca e rendersi conto di quanto la barca peloritana abbia rischiato di affondare nella prima parte, messa a dura prova dalla forza d’urto del Benevento. I sanniti, dopo il gol del vantaggio su gentile regalo di Rino Iuliano (poi riscattatosi dopo la papera), hanno sciupato a più non posso una serie di occasioni che successivamente hanno pagato a caro prezzo. Ed è tutta qui la chiave del match. Fosse arrivato il raddoppio, il classico gol che spezza le gambe, oggi parleremmo d'altro. Ma la barca ha resistito, il Benevento ha indossato i panni di Babbo Natale e nella ripresa è stata tutt’altra musica pur se va ricordato che, dopo il pari di Bjelanovic, la fortuna ha strizzato l’occhio all’Acr quando il pallone di Eusepi ha sbattuto sul legno ed è tornato indietro. Ma il Messina del secondo tempo è quanto di meglio potessero aspettarsi i duemilacinquecento del “San Filippo” (2405 presenze ufficiali di cui 1779 abbonati, ndr), una squadra che ha limiti strutturali, che si è proposta anche con giocatori fuori ruolo (Bonanno interno di centrocampo!) ma giocando con la grinta, la personalità e il cuore, qualità che non possono mancare nel bagaglio di una “provinciale” che deve costruire, giornata dopo giornata, quell’obiettivo chiamato salvezza. Non a caso al triplice fischio gli applausi della “Sud”–era successo anche dopo lo sfortunato finale contro il Catanzaro – hanno accompagnato Bucolo e compagni negli spogliatoi.
Ritorno all’antico «Il modulo lo fanno i giocatori». Ecco spiegato in poche parole il ritorno all’antico con il 3-5-2 riproposto da Grassadonia. L’ultima volta era stato a settembre e gli esiti disastrosi (1-5 con la Casertana) avevano suggerito al tecnico di modificare l’assetto tattico. Venerdì sera il ritorno al modulo tanto caro ad Antonio Conte perché, non abbondando gli esterni, meglio imbottire difesa e centrocampo affidando compiti di corsa a due soli giocatori invece di quattro. Il problema è emerso ben presto a destra dove Silvestri non è un esterno in grado di coprire tutta la fascia e da quel lato il Benevento ha creato le occasioni migliori. Un bravo allenatore sa intervenire in corsa e la mossa Cane è stata quella che ha cambiato la partita. È il giovane cresciuto nel vivaio del Genoa a scuotere il Messina con corsa, cross e una presenza brillante senza mai sciupare un pallone. Suo il cross da cui poi nasce l’1-1 di Bjelanovic, suoi alcuni suggerimenti mal gestiti (vero Bonanno?) dai compagni, la migliore risposta all’allenatore che fin lì l’aveva lasciato troppo ai margini del campo, puntando anche su soluzioni di emergenza. È Marco Cane, 22enne dalla faccia pulita e da un talento ancora inespresso, elemento arrivato a inizio campionato in prestito dal Crotone, il personaggio-copertina di un Messina che c’è ma è costretto ancora una volta a rinviare l'appuntamento con una vittoria che manca ormai da due mesi. Per ora va bene così – ma le altre concorrenti corrono, vedi Barletta e Martina – perché il ciclo di ferro non ha fin qui creato traumi (tre pari consecutivi in attesa di Salerno, tra sette giorni) e ha dato risposte importanti a Grassadonia. La squadra ancora non è così sfacciata come la vorrebbe il suo allenatore e i blackout sono sempre dietro l’angolo. Ma cuore e orgoglio non mancano e il mercato di gennaio, come ha sottolineato il tecnico, dovrà eliminare quelle lacune che impediscono alla squadra di abbandonare la fascia della mediocrità.