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Favori al clan, sei agenti di polizia penitenziaria indagati

Consentivano ai detenuti del carcere di Gazzi di consegnare ai familiari, durante i colloqui in carcere, pizzini contenenti ordini da impartire agli affiliati al clan Spartà. Ma c’era pure chi prendeva soldi dalla cosca per consentire ai carcerati una vita più rilassata. A conclusione delle indagini, eseguite dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Messina, sei agenti di custodia, sono indagati dalla Procura. Cinque di loro devono rispondere di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale, uno di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio. Cinque sono tuttora in servizio nella casa circondariale di Messina, uno solo è stato trasferito al Pagliarelli di Palermo. Per tutti c’era una richiesta d’arresto avanzata dal procuratore aggiunto Vincenzo Barbaro e dal sostituto della DDA Maria Pellegrino non accolta dal gip. Il giudice invece dovrà decidere sulla richiesta di sospensione dalle funzioni per i sei agenti di custodia che stamattina sono stati interrogati.

I fatti risalgono agli anni 2008, 2009 in piena guerra fra i clan della zona sud per il controllo delle attività illecite come accertò l’operazione Ricarica dei Carabinieri. Operazione che consentì di sventare alcuni omicidi ordinati dal carcere grazie ad un telefono cellulare poi sequestrato in una cella. Decisive si rivelarono le dichiarazioni di alcuni imprenditori impegnati a S.Lucia sopra Contesse in lavori di ristrutturazione delle Case Arcobaleno e di costruzione di una scuola elementare. Grazie alle indicazioni fornite dalle vittime, fra cui l’ex presidente dell’associazione antiracket messinese Mariano Nicotra, i Carabinieri identificarono Maurizio Lucà e Stefano Celona, arrestati proprio ieri per quelle estorsioni. Seguendo Lucà, intercettando le sue telefonate e piazzando telecamere e cimici in carcere quando l’uomo si recava ai colloqui con un parente, gli investigatori smascherarono gli agenti infedeli. Così si è scoperto che i poliziotti, contravvenendo al regolamento, non perquisivano i detenuti prima e dopo i colloqui con i familiari. In questo modo potevano cedere e ricevere bigliettini nei quali venivano impartite disposizioni per estorsioni e spaccio di droga che venivano girate agli affiliati al clan Spartà. Le indagini non hanno però permesso di stabilire l’eventuale contropartita per gli indagati. Più grave la posizione del sesto agente che avrebbe intascato 2500 euro da un detenuto, anche lui uomo di Spartà, per chiudere un occhio sui suoi comportamenti. Così poteva girare liberamente fra i reparti e incontrare altri detenuti. L’agente di polizia penitenziaria si sarebbe anche prestato per conto suo a portare ambasciate dentro e fuori il carcere. Nell’inchiesta, sull’attività del clan Spartà nella zona sud sono indagate altre 26 persone compresi Lucà e Celona. L’operazione Alexander prende il nome dal bar di Lucà a S.Lucia sopra Contesse dove gli affiliati si incontravano per decidere le strategie del clan.

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