Tartassati dai balzelli locali. Indebitati fino al collo. Umiliati nel diritto alla continuità territoriale e impossibilitati a fruire di veri servizi di collegamento tra le due sponde dello Stretto. Costretti a vedere emigrare quasi un’intera generazione di giovani diplomati e laureati. Inerti nell’assistere alla desertificazione di tutte le attività produttive che un tempo (come la cantieristica navale) erano l’orgoglio e il vanto dell’economia messinese. Sono impietosi gli indicatori che provengono dai centri studi delle organizzazioni sindacali e di categoria, dai report della Camera di Commercio e dell’Università, dalle cronache quotidiane di una città che non riesce a immaginare un’ipotesi di vero sviluppo, come un paziente nel suo organismo non si coagula più sangue. È questa, forse, la metafora più cruda che meglio fotografa lo stato attuale di Messina: una città divorata da un’anemia sempre più grave, per molti senza più speranza. Si apra una grande vertenza lavoro, è l’allarme disperato delle forze sociali e sindacali. Ma non bastano più i sit-in sui singoli casi –Bluferries, Metromare, Ferrotel, Rodriquez-Intermarine, precari degli enti locali, forestali, edili, cooperative sociali e l’elenco potrebbe continuare all’infinito –, non sono più sufficienti gli annunci di tavoli operativi o i comunicati emessi dagli efficienti uffici stampa di enti e sindacati. Occorre aprire davvero una nuova stagione con un’interlocuzione durissima nei confronti dei Governi nazionale e regionale, incalzando l’amministrazione comunale a fare di più e di meglio rispetto agli sforzi prodotti finora. Anni fa si parlava di indire gli Stati generali dell’economia messinese, non se ne fece nulla, anche perché il rischio era quello che tutto si trasformasse nell’ennesi- mo inconcludente “cahier de doleances”, l’elenco delle doglianze tipico di una città ammalata di “convegnite” acuta. L’idea forte di sviluppo, come vanno ripetendo da decenni i più illustri esperti che Messina ha “sfornato” dalle aule del proprio Ateneo e dai laboratori di ricerca che spesso ci vengono invidiati da altre realtà del Paese, non può prescindere dal rapporto tra la città e il suo mare. E dunque, dalle attività portuali alla realizzazione della piattaforma logistica per lo stoccaggio e la lavorazione delle merci; dal rilancio della cantieristica navale oggi imbalsamata e sul punto di chiudere definitivamente all’im- plementazione di tutti i servizi collegati alla vocazione marittima del nostro porto storico, tra i principali scali d’Europa per quel che riguarda il traffico crocieristico. Ma tutto ciò sarebbe incompleto se non si sviluppasse anche un progetto di turismo incentrato tutto sullo Stretto, recuperando l’affaccio a mare e la Zona falcata con le sue straordinarie potenzialità. Se ne parla da tempo immemorabile e non si viene a capo mai di nulla. Per questo, occorre inchiodare alle proprie responsabilità tutti gli enti e istituzioni competenti sul territorio, mettere insieme tutti i piani, più o meno integrati, i progetti e le idee che esistono, che sono stati concepiti nel passato e che possono essere ripresi, aggiornati, modificati, ripensati radicalmente. Restare fermi, aspettando la manna dal cielo non è più consentito. In questo “deserto” vi è anche qualche “fiore” che spunta qua e là. Si pensi al mondo delle “start up” e al coraggio di tanti giovani aspiranti imprenditori, che andrebbero sostenuti nelle loro idee per evitare che ingrossino le fila degli emigranti. O si pensi anche all’iniziativa dei soci-lavoratori del nuovo Birrificio Messina. Da qui bisogna ripartire. Ma chi sta fermo, muore.